È una belva, spietata. Una bestia crudele, pronta ad affondar i denti nel collo dei propri rivali. Proprio come la vuole il “caro” papà Jong Il. Proprio come l’avrebbe sognata nonno Sung. Del resto buon sangue non mente. La creatura Kim Jong Un, terza generazione della dinastia comunista nordcoreana, è all’altezza del suo compito. E già lo dimostra. Prima di entrar nell’Olimpo del regime s’era impratichito facendo piazza pulita dei rivali di famiglia. Ora è pronto a far carne di porco anche tra i rivali di partito.
I segnali di una prima ben avviata purga arrivano dalla provincia nordorientale di Hamgyong. In quelle terre lontane si annida da sempre la malapianta del dissenso. Lì i funzionari gestiscono i traffici con la Cina, offrono un po’ di spazio al libero mercato, sbirciano l’evoluzione di un comunismo cinese trasformatosi, dal loro punto di vista, in un paradiso di libertà e democrazia. Lì dunque bisogna colpire duro per evitare che il seme del dissenso inquini il partito di famiglia. Lì colpisce da qualche settimana la mannaia del 27enne principe rosso. Tutto inizia a fine settembre quando una serie di metodiche e capillari ispezioni ordinate dall’erede al trono portano all’arresto di almeno 15 funzionari di alto livello. Stando all’associazione di fuoriusciti nordcoreani “North Korea Intellectuals Solidarity”, le vittime della nuova purga sono in gran parte responsabili delle guarnigioni di frontiera. «In queste ore i più alti funzionari del partito stanno letteralmente tremando perché sanno – spiega un portavoce dell’associazione - che la campagna è solo agli inizi, ma non sanno quante e quali teste verranno tagliate».
Sulle teste cadute pende la classica accusa di corruzione. Motivarla o dimostrarla non è difficile. Al pari di qualsiasi altro funzionario i dirigenti sotto torchio hanno abusato della loro posizione chiudendo un occhio su quanto avviene alla frontiera cinese. In pratica hanno intascato bustarelle e tangenti per coprire defezioni e traffici illeciti. La loro colpa peggiore, quella che rischia di costargli la carriera, la libertà e la vita è la scelta carro sbagliato. Molti di loro parteggiavano per le fazioni che approfittando dell’incerta salute del “Caro Leader” Kim Jong Il cercavano di spezzare il legame dinastico e favorire una successione politica anzichè di sangue. Ma hanno perso e ora Kim Jong Un è pronto a punirli. E papà non aspetta altro. Del resto Kim Jong Il l’ha scelto come erede proprio per quell’innata predisposizione alla crudeltà e alla brutalità.
Una predisposizione che ricorda tanto la cinica determinazione con cui nonno Kim Il Sung eliminò nei primi anni della dittatura comunista centinaia di compagni dissidenti. Una dote che di certo non manca neanche a papà Kim Jong Il. Negli anni Novanta - appena scomparso quel galantuomo d’un capostipite - il Caro Leader non esitò a spedire al creatore centinaia di militari accusati di aver ispirato «movimenti sospetti» proprio ai confini con la Cina. E quello non fu che l’inizio. In quegli stessi anni Novanta, dopo aver avallato le disastrose scelte all’origine della tremenda carestia costata la vita a milioni di sudditi, non esitò a scaricare tutte le colpe sui propri ministri facendo fucilare il responsabile per l'agricoltura So Kwan Hi. Una pratica ripetutasi puntualmente lo scorso marzo quando i plotoni d’esecuzione si sono ritrovati davanti davanti Pak Nam Gi, il ministro delle Finanze ispiratore della fallimentare riforma valutaria avviata nel novembre 2009. Con una piccola differenza.
A marzo il più deciso a mostrare il pollice verso fu proprio il giovane Kim Jong Un. Era il primo autentico test di un padre alla ricerca del proprio erede, e Kim Jong Un lo superò al primo colpo. Dimostrando un talento autenticamente e geneticamente bestiale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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