Milano Dalle pagine di Repubblica Gad Lerner mette sotto accusa la sanità lombarda e il circuito ciellino di direttori che ruota intorno al presidente regionale Roberto Formigoni. «La Lombardia - scrive piccato - un tempo considerata la locomotiva d’Italia, si scopre epicentro di affari criminali». Il riferimento è all’arresto del direttore dell’Asl di Pavia Carlo Antonio Chiriaco per i suoi contatti con i boss della ’ndrangheta e al coinvolgimento nell’inchiesta del direttore generale dell’Asl di Monza e Brianza Pietrogino Pezzano, nominato nelle intercettazioni.
Detto questo, da qui a dire che la sanità lombarda è un modello fallimentare ne corre. Eccome. A dimostrarlo non sono certo elucubrazioni politiche, ma i numeri: quelli del bilancio e quelli dei pazienti che arrivano da ogni regione d’Italia per farsi operare negli ospedali lombardi. E ancora, i numeri dei tempi di attesa, dei controlli sulle cartelle cliniche, degli interventi più complicati, del tasso di mortalità in calo. Cifre che rispondono al buon Gad Lerner: «La Lombardia è ancora una locomotiva in ambito sanitario». Eppure l’editorialista sostiene che «il modello lombardo della destra è mortificante sia in termini di valori civili che di servizi resi ai cittadini». Si può demonizzare quanto si vuole il modello della sanità convenzionata. Ma solo a parole, non certo con i fatti.
Innanzitutto la Lombardia è una delle poche Regioni con il bilancio sanitario in attivo (207 milioni di euro nel 2009), contro casi di Regioni con buchi nei conti ormai insanabili. La buona gestione economica ha permesso di investire nella costruzione di sette nuovi ospedali pubblici. Negli ultimi dieci anni i ricoveri sono stati più mirati e sono scesi da 2 milioni a 1,8, a fronte di un aumento della popolazione di 800mila abitanti. Non solo: la spesa pro capite per le famiglie è cresciuta meno (di circa 10 punti percentuali) rispetto alle altre regioni del centro nord.
I tassi di mortalità sono stati dimezzati da dieci anni a questa parte e anche i tempi di attesa sono notevolmente migliorati. Nel 2004 veniva effettuato entro 60 giorni dalla richiesta l’87% delle prestazioni ambulatoriali. Ora siamo al 95%, quasi la totalità. Il connubio pubblico-privato ha prodotto buoni risultati: solo il 10 per cento dei trasferimenti dei pazienti avviene tra privato e pubblico, sfatando il luogo comune che vede le strutture private approfittare delle maggiori disponibilità di reparti complessi delle strutture pubbliche trasferendovi pazienti difficili e costosi.
Poi ci sono i dati sui pazienti che affrontano i cosiddetti «viaggi della speranza» pur di essere curati dagli specialisti della Lombardia: il 63 per cento dei malati seguiti nelle strutture lombarde proviene da fuori regione; e di questi il 37 per cento arriva da regioni confinanti con la Lombardia. Percentuali impressionanti, che hanno indotto tanti medici lombardi a lanciare un appello ai malati extra regione: «Venite in Lombardia solo per i casi gravi, quelli per cui servono cure che solo qui si fanno. Non venite per una banale chemioterapia, altrimenti non possiamo concentrarci sulle emergenze». Ma chiunque di noi vorrebbe curarsi dove sa di trovare il meglio e il fenomeno dell’esodo sanitario non si placa. A queste persone poco importa a chi sia in mano la sanità, chi gestisca i conti, se è di destra o di sinistra, se è legato a Comunione e liberazione o alla Compagnia delle Opere. A loro importa soltanto che i medici siano bravi e che le strutture siano buone.
Il modello sanitario lombardo, che negli ultimi dieci anni ha raggiunto parecchi risultati, punta a migliorare ancora e a cambiare forma, tenendo conto dell’aumento della popolazione anziana: nel piano socio sanitario in fase di approvazione, si punta a potenziare l’assistenza sanitaria al di fuori delle mura dell’ospedale, a garantire cure a domicilio, a ridurre sprechi e costi, ad abbattere le liste d’attesa attraverso un centro unico di prenotazione. E a rendere più democratiche anche le rette delle case di riposo per gli anziani.