La lettera senza risposte del Professore

Paolo Armaroli

L’epistola cretese che Romano Prodi ha messo in rete sul suo sito per la delizia degli apostoli romani dell’Unione ha gettato questi ultimi nella più cupa disperazione. Del resto la cosa si spiega. Un po’ come Pulcinella alla guerra, gli illusi pensavano di averlo fatto prigioniero. Il guaio è che lui, cascasse il mondo, non li lascia andare. Anche a costo di mettere in gioco la propria leadership. Più che altro tollerata, visto e considerato che i Ds si considerano ancora figli di un dio minore. In compenso la sullodata epistola rappresenta un balsamo per la Casa delle libertà, che piaccia o no un programma non solo se l’è dato, ma in larga misura lo ha già realizzato in questi primi quattro anni di legislatura. A differenza dell’Unione che spaccia per programmi il vuoto pneumatico. E con accenti davvero esilaranti. Come testimonia l’ultima alzata d’ingegno di Prodi.
Il Professore, per cominciare, intende attrezzarsi «per dare risposte all’altezza delle sfide che ci stanno davanti». Ma sulle risposte è muto come un pesce. Bontà sua non esclude, nel rispetto dei suoi valori di fondo, aggiornamenti alla Costituzione «per rispondere alle nuove esigenze della società italiana, così cambiata in questi quasi sessant’anni». Ma si guarda bene dall’illustrarci le modifiche che giudica salvifiche. Conferma la propria scelta per l’Europa, quasi che si aggirassero per l’Italia milioni di antieuropeisti incalliti. E aggiunge che, dopo i referendum francese e olandese, «si può uscire con un arretramento o con nuove proposte che confermino il cammino europeo e ne consolidino le basi». Lo smemorato però si dimentica di ragguagliarci sulle «nuove proposte» che evidentemente considera la sua arma segreta.
Non pago, insiste sull’argomento. Afferma che «per proteggere, consolidare e far progredire l’Unione Europea si richiede oggi un impegno forte, convinto ed intelligente». Ben detto, per dindirindina. Così sono serviti quei poveri di spirito che l’impegno lo vorrebbero debole, svogliato e deficiente. Facendo poi piovere sul bagnato, conclude che «servono proposte nuove e concrete che permettano all’Europa di progredire nel suo cammino». Mossi da morbosa curiosità, ci piacerebbe sapere quali mai possano essere. Ma Prodi, per farci un dispetto, non ce lo dice. Passando al nostro Belpaese, il Professore sostiene che è il malato d’Europa. E la ricetta per la sua guarigione è presto detta. A suo avviso, occorrono «cure forti e che durino nel tempo», «eque e solidali». Ma perché, per la miseria, non scende nel dettaglio? Vuole poi «un cambiamento della nostra struttura produttiva», «regole per garantire la correttezza del gioco», «solidarietà e doveri per garantire l’equità tra i cittadini». Come dire, brevi considerazioni sull’universo. E adesso viene il bello. Prodi avverte che «non è ancora il tempo per tradurre questi grandi obiettivi in un programma dettagliato di governo». E aggiunge che «il nostro programma dovrà nascere dalla discussione e dall’analisi che abbiamo appena cominciato». Campa cavallo. Predica poi la castità in una casa di piacere quando auspica dentro l’Ulivo e dentro l’Unione «senso della responsabilità, spirito unitario e onestà nelle scelte». E infine nutre il timore, tutt’altro che infondato, che «un governo che nascesse segnato da ombre e sospetti, un governo che fosse privo della compattezza necessaria per assumere decisioni difficili, sarebbe un governo qualsiasi». Bene, bravo.
Lette queste alate parole, ci è venuta in mente la storiella del vecchio saggio e del millepiedi, sofferente di atroci dolori alle estremità. Cammina cammina, finalmente s’imbatte nel vecchio saggio al quale espone il suo problema. Facilmente risolvibile per quest’ultimo: basterebbe che tu, povero millepiedi, diventassi bipede. Già, ma come ottenere questa miracolosa metamorfosi? Ah, replica il vecchio saggio, queste sono quisquilie che puoi benissimo sbrigare da solo.


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