Lovecraft, i mostri peggiori sono nascosti tra poesie e lettere

Nelle liriche e nell'immenso epistolario tutte le angosce e le inquietudini del "Solitario di Providence"

Lovecraft, i mostri peggiori sono nascosti tra poesie e lettere
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Come le terrorizzanti creature che affollano il suo mostruoso pantheon, l'opera di H. P. Lovecraft (1890 - 1937) è sfuggente, multiforme e tentacolare. In una parola, weird. Tra i più grandi dilettanti di talento del proprio secolo, autodidatta e Solitario, massacrato dalla critica in vita e autocritico fino alla morte (era raramente soddisfatto delle sue cose), il «Sognatore di Providence» viveva per scrivere: romanzi e centinaia di racconti, articoli per giornali e riviste, saggi di critica letteraria ma anche - produzione considerata secondaria e rimasta sempre marginale - moltissime poesie (oltre cinquecento componimenti, da brevi sonetti a lunghi poemi) e un corpus epistolare che non ha eguali nell'intera storia della letteratura: si vocifera di qualcosa come centomila lettere inviate ad amici e colleghi scrittori nell'arco di una breve esistenza (47 anni), di cui solo un migliaio sono state pubblicate mentre il resto è ancora inedito.

Ed è proprio sulle poesie e le lettere che si concentra ora l'editoria italiana, facendoci conoscere un Lovecraft meno consueto e più sorprendente. Ed ecco una monumentale antologia del Lovecraft poeta: Canti dall'altrove. Poesie e scritti del Maestro di Providence (Il Palindromo, pagg. 475, euro 25; saggi

introduttivi e traduzioni di Pietro Guarriello e Emilio Patavini; cronologia della vita di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, cioè il meglio che c'è in circolazione in materia) e, sul fronte epistolare, il volumetto Potrebbe anche non esserci più un mondo (Adelphi, pagg. 160, euro 14) composto da una sola lettera, probabilmente la più lunga mai scritta da Lovecraft, «70 pagine tonde», datata 9 novembre 1929 e indirizzata all'aspirante scrittore Woodburn Prescott Harris, lettera selezionata dal curatore Ottavio Fatica per l'ampiezza dei temi trattati e per la sua completezza che ne fa una sorta di autobiografia intellettuale.

Intendiamoci. Né tutte le poesie né di certo tutte le lettere sono attraversate dai mostri provenienti da altre dimensioni che popolano l'immaginario lovecraftiano: i Grandi Antichi, semi-uomini e entità aliene. Ma molte di quelle pagine sembrano velare le angosce e le inquietudini che alimentano l'orrore cosmico in cui si immergono le storie fantastiche del Maestro di Providence. E poi, certo, qui dentro c'è anche l'altro Lovecraft: il gentiluomo d'altri tempi (il quale, avendo potuto, avrebbe scelto di vivere nel '700 inglese), il lettore vorace (studiava filosofia, storia antica, economia, scienze politiche, sociologia...), il conversatore che discute con competenza i problemi della società contemporanea (che disprezza) e che possiede un verso per ogni occasione. Ed ecco le sue poesie politiche e patriottiche, le satire e le parodie antimoderniste, le poesie autobiografiche e - certo - i poemi fantastici e dell'orrore, come Il Simulacro, o La Voce, o Il Messaggero, racconti in versi in cui, fra arcaismi e enjambement, emergono miti pagani, esseri soprannaturali, oscure visioni, luoghi spettrali, incubi e follia... Aspetto da non sottovalutare:

Lovecraft ambiva a essere prima di tutto poeta, ma capì presto di non avercela fatta. Già nel 1918 in una lettera liquidava i suoi versi come «una massa di robaccia mediocre e miserevole».

E a proposito di lettere. Quella fluviale indirizzata all'amico scrittore - che potrebbe essere qualsiasi suo lettore - contiene elementi straordinari per conoscere il Lovecraft di buon senso che abita questo mondo e non «altre» dimensioni. Nella cavalcata lunga 70 pagine, e costata una settimana di lavoro, parla dello squallore della civiltà moderna, a lui sempre più estranea, «una barbarie basata sul benessere fisico anziché sulla superiorità mentale», in balia delle macchine, dell'ostentazione della ricchezza e dell'individualismo. Spiega perché non si fida della democrazia (il suo ideale è una nazione guidata da un'élite illuminata in grado di tenere vive le tradizioni culturali e garantire il benessere anche alle classi meno elevate). Si lancia in un elogio della letteratura inglese. Si inoltra in una lunga divagazione sull'amore romantico e l'amore sessuale nel mondo antico e moderno (era convinto che il matrimonio sarebbe presto sparito...). Si concede un paio di scivolate razziste. E alla fine sprofonda nell'abisso più profondo del nichilismo.

«Lo stramaledetto cosmo non fa che proseguire per la sua strada, come predeterminata dall'eternità, senza prestare attenzione ai desideri di quegli organismi coscienti che di quando in quando possono affiorare in via del tutto trascurabile su qualcuno dei suoi atomi materiali».

Che è puro Lovecraft.

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