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Il Reich e la ricerca del sacro Graal: ecco "Il codice Wagner"

Pubblichiamo, per gentile concessione dell'autrice, un estratto di Il codice Wagner (Fede & Cultura)

Il Reich e la ricerca del sacro Graal: ecco "Il codice Wagner"

Padre Herbert aveva avuto una notte agitata, e non solo per il maltempo. Le notizie che giungevano dalla sorella non lo lasciavano tranquillo. “Hoc est enim Corpus Meum”…. Mentre celebrava la Santa Messa, alle sei del mattino, pensava all’incontro apocalittico delle forze sul campo della storia.

“La lotta contro la secolare oppressione cristiano ecclesiastica…ha creato in Europa una splendida tensione dello spirito, come non c’era mai stata prima sulla terra: con un arco così teso si può mirare ormai alle mete più lontane.” Un brivido gli corse lungo la schiena mentre si inchinava sul calice che pareva traboccare sangue. In ginocchio nei banchi di noce piallato a mano, tre o quattro fedeli assistevano al Sacrificio.

“Prosit! – Deo gratias!”. Padre Glinge scrutava il volto dell’amico e confratello. “Dobbiamo comprendere i prossimi passi da fare”. Nello studiolo scarno del Preposito, ai lati di un piccolo scrittoio in ciliegio intarsiato con il piano coperto di panno verde scuro, i due gesuiti cercavano il bandolo della matassa, per poterla svolgere con minori tagli e rannodi possibili. La situazione era preoccupante.

Heinrich Himmler aveva sguinzagliato per mezza Europa alcuni fedelissimi del Dipartimento Ahnenerbe alla ricerca della radice dell’immortalità e onnipotenza ancestrale. Secondo gli studi archeologici del Dipartimento, tale radice, non meglio ulteriormente descritta e definita, avrebbe dovuto essere stata sepolta nella Chiesa di Santa Caterina a Norimberga da parte dei Cavalieri Teutonici e dei Templari di ritorno dalla Terra Santa, dopo la prima Crociata. Nelle descrizioni e iscrizioni trovate nella Chiesa di Santa Caterina, pare ci fosse sempre il riferimento a un’arma, una lancia. L’attendibilità di tale riferimento era rafforzata dalla mitologia nordica.

Anche le leggende celtiche si erano sviluppate intorno alle eroiche gesta di mitici cavalieri dalla nomea immortale, sempre accompagnati da una spada o da una lancia così densa di personalità da portare un nome proprio. I due gesuiti indugiarono sui racconti mitici che avevano accomunato la loro infanzia e fanciullezza e che avevano certamente aiutato il fiorire della loro vocazione monastico-militare.

Secondo la tradizione celtica, creature ritenute divine dal popolo, gli onniscienti Túatha Dé Danann, avrebbero regnato agli albori della civiltà sull’Irlanda, e prima di ritirarsi per l’eternità nel Tír na nÓg, il paese dell’“Età dell’oro”, avrebbero consegnato ai propri sudditi quattro potenti oggetti magici in grado di trasmettere la conoscenza a chiunque ne fosse entrato in possesso: la Spada di Nuada, la Pietra di Fál, la Lancia di Lúg e il Calderone di Dagda.

La Lancia di Lúg, portentosa arma dai terribili poteri distruttivi dalla cui estremità scaturiscono scintille e stille di sangue, poteva essere neutralizzata solo con l’immersione nel Calderone di Dagda, ricolmo di sangue e veleno, in modo tale che non bruciasse e distruggesse tutto ciò che la circondava quando il dio Lúg non la brandiva.

Padre Glinge, allora adolescente, era rimasto affascinato dal profondo legame tra le tradizioni norrene e la nuova religione, dove il cerchio che univa le antiche pietre del potere divino (i menhir) si incontrava con la Croce dell’Unico Agnello. E ricordava ora, al più giovane confratello, che anche nella tradizione mitologica cristiana ricorrono riferimenti alle Lance dell’immortalità, come nelle leggende sul Santo Calice e nei miti di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e nelle varie opere della tradizione cavalleresca.

La Lancia di Lúg, difatti, nel corso dei secoli negli antichi territori del Nord è stata accostata a miti cristiani, subendo una metamorfosi adattativa al racconto, tratto dagli eventi realmente accaduti relativamente alla Lancia del soldato Longino, che trafisse il costato di Cristo Crocefisso facendone scaturire sangue e acqua.

I due sacerdoti tacquero per un poco, seguendo il corso dei propri pensieri. “Se Himmler e le sue SS dovessero ritrovare la Lancia o il Santo Vasello…” Padre Herbert pronunciò la frase come se emergesse dal profondo di un pensiero remoto. Padre Glinge ribatté, senza timore di replica: “Non tengono conto della Volontà Superiore. Lo Spirito soffia dove vuole e non si sottomette al ciarpame terreno. È pur vero che a tempo debito Dio consente al Male di esprimersi anche con violenza – ricordiamoci, caro confratello, l’episodio di Giobbe, e tanti altri – ma è altrettanto vero che il consentire al Male di agire è finalizzato sempre al trionfo del Bene.”

Padre Herbert ammirava la Fede del Preposito Provinciale, così viva, limpida e svincolata da ogni evento terreno e da ogni supposizione umana. Il cimento cui andavano incontro necessitava di tutta la forza interiore di cui disponevano. “Caro confratello, è opportuno che Lei si rechi in loco per sincerarsi dello status quaestionis. Il contatto è Eva, la ragazza sveglia di cui le accennavo ieri l’altro. Ho conosciuto sua madre durante un periodo di direzione spirituale a Monaco, dieci anni orsono. Una brava donna, una bella famiglia, ed Eva ha votato tutta se stessa alla ricerca archeologica per una sorta di espressione estetica della propria profondità interiore. Le frequentazioni della ragazza non sono l’emblema dell’ortodossia, basti pensare al professor Sachs dell’Università di Archeologia e Paleontologia Ancestrale, ma potrebbero essere utili per le nostre ricerche. Bene. Prepari la valigia con poche cose. Non resterà lontano molto tempo.”

Padre Herbert sospirò, assorto, pensando a quanti anni prima era stato l’ultima volta a Norimberga.

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