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Una riflessione sul lavoro del corrispondente (di guerra) tra ieri e oggi

Su gentile concessione dell'autore e della casa editrice pubblichiamo qui un estratto di “Come girare il mondo gratis – un giornalista con la valigia”, il libro del giornalista Enrico Franceschini e edito da Baldini+Castoldi, in cui parla della sua esperienza da corrispondente

Una riflessione sul lavoro del corrispondente (di guerra) tra ieri e oggi

I ribelli si asserragliano nella Bielij Dom, la Casa Bianca, com’è chiamata la sede del Parlamento in riva alla Moscova. Boris Eltsin risponde facendo circondare il palazzo dai carri armati: i rivoltosi non si arrendono, il presidente ordina di aprire il fuoco. Le cannonate bucherellano la facciata candida del Parlamento come se fosse formaggio groviera. Intorno all’edificio, le barricate dell’esercito fedele a Eltsin: i golpisti sono accerchiati, chiaramente non hanno scampo. È un assedio alla russa, confusionario, poco marziale: ci sono anche civili curiosi sulle barricate. E ci sono anche i corrispondenti stranieri, compresi il mio amico Paolo del «Corriere» e io. Durante una pausa nel cannoneggiamento, una donnina che pare uscita da un romanzo di Bulgakov mette il naso fuori dalla Casa Bianca assediata, raggiunge la barricata dietro cui siamo nascosti e afferma: «I capi dei ribelli vogliono parlare con dei giornalisti stranieri! Hanno un’importante comunicazione da fare. Venite con me». Fossi matto, penso io. Ma Paolo, che fra le sue tante doti è anche di un coraggio temerario, mi strizza l’occhiolino, scavalca la barricata e segue la donna misteriosa.

Vedo aprirsi davanti a me due destini differenti: seguire Paolo, e probabilmente non tornare più indietro; oppure restare dove sono e sperare di vivere fino a una serena vecchiaia. Penso che l’offerta della misteriosa emissaria sia una trappola. E se anche non lo fosse, tra poco riprenderanno le cannonate. Ancora più delle cannonate, tuttavia, mi terrorizza la reazione del mio direttore, Eugenio Scalfari, se il giorno dopo sul «Corriere» fosse uscita l’intervista con i capi della rivolta e su «Repubblica» niente. Scalfari mi aveva telefonato poche ore prima: «Devi raccontare l’attacco al Parlamento ribelle come Indro Montanelli raccontò l’attacco dei carri armati sovietici a Budapest nel 1956 guardandolo dal tetto della casa di fronte». I carri sovietici del ’56 erano i cattivi, quelli della Mosca del 1993 sono i buoni. Ma è un dettaglio. È chiaro che il mio direttore vuole un grande pezzo su questa storia. E io ho l’occasione di scriverlo. Non posso tirarmi indietro. Tutti questi ragionamenti impiegano un nanosecondo ad attraversarmi la mente ed eccomi su per le scale di un palazzo incendiato, affumicato, cosparso di cadaveri, dietro Paolo e la latrice del messaggio. All’ultimo piano incontriamo i capi dei ribelli, Andrej Rutskoj, ex generale dei parà, in tuta mimetica e mitra a tracolla, e Ruslan Khasbulatov, in abiti civili. Sono entrambi di un pallore mortale. Rutskoj fuma nervosamente una Marlboro dietro l’altra. «Siamo pronti alla resa, ma soltanto nelle mani di una delegazione di ambasciatori stranieri», ci dice. «Se ci arrendiamo ai soldati di Eltsin, ci spareranno appena alziamo le braccia.» Faccio fretta a Paolo: non è il caso di abusare ulteriormente della fortuna. Riesco a spingerlo giù per le scale, fuori dal palazzo, in salvo. Ci guardiamo negli occhi: abbiamo uno scoop mondiale.

Estratto di “Come girare il mondo gratis – un giornalista con la valigia”. Copyright Baldini+Castoldi

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