Roma

Lettere d’amore negli anni del «Boom»

Duccio Camerini è un regista, autore e attore che ama guardare al passato. Alla nostra storia nazionale. Agli snodi cruciali di quell’epopea collettiva della quale siamo giocoforza figli. E nel suo ultimo lavoro, La visita, prosegue lungo questa direttiva, mettendosi coraggiosamente a confronto con un pregevole precedente cinematografico. Il film cui alludiamo si intitola anch’esso La visita (1963) e racconta con pungente amarezza l’Italia del boom, con la sua carica di ottimismo e fiducia nel futuro che contagiò violentemente gli italiani, salvo poi rivelarsi tempestata di ombre e vuoti. Ed è proprio da queste ombre e da questi vuoti che il lavoro di Camerini, in scena alla Sala Umberto, riparte. Consapevole delle naturali difficoltà di «traduzione» dal grande schermo al palcoscenico, il regista costruisce un meccanismo teatrale semplice che trova nel ritmo, nella recitazione, nell’alternanza di toni leggeri e toni acri i suoi punti di forza. Fatto sta, però, che la storia intriga, piace, immalinconisce persino: Adolfo (ruolo che Camerini riserva per sé, con esisti felici) è scapolo e fa il commesso in una piccola libreria. Pina (interpretata da una splendida Antonella Attili) si divide tra un impiego comunale e la cura dei suoi poderi e, ormai stanca e sfiduciata, vorrebbe mettere su famiglia. Rappresentano due mondi lontani: tanto sensibile e intelligente lei, quanto opportunista e calcolatore lui. Quando, complice un’inserzione pubblicata su Gioia, la coppia si incontra, questa lontananza non può che rivelarsi incolmabile. Città e provincia diventano il campo di scontro di un conflitto profondo., mentre le lettere che i due si scambiavano prima della drammatica «visita», vibravano di un autentico bisogno dell’altro. Sembra insomma che quell’Italia un po’ tramortita sapesse ancora esprimere desideri e passioni. Non sempre le storie finivano bene. Ma questa, si sa, è l’altra faccia dell’amore.
Fino a domenica 8.

Info: 06/6794753.

Commenti