Un lettore «bogia nen»: «Per favore, non trascurate Torino»

Caro direttore,
parlerei di una cosa che da torinese mi inquieta sempre più: anche dopo queste elezioni a Torino non si è mosso nulla. L’Italia gradatamente cambia. Torino, no. Parte delle province piemontesi ha cambiato registro, il nord-est è ormai un feudo azzurro-verde, il sud è pressoché azzurro, mentre al centro sono rimasti rossi i bastioni dei nostalgici. Tra l’altro, quando si parla delle ultime roccaforti rosse si parla di Firenze e Bologna; Torino invece la si nomina sempre di meno. Berlusconi e Bossi dovevano venire a chiudere la campagna per i ballottaggi ma hanno desistito (sapevano che era tutto inutile?). A Firenze almeno cambiano le facce, a Torino sempre quelle: i Saitta i Chiamparino, le Bresso. A Torino il Pdl non fa propaganda, non si muove. In cintura lo stesso. Almeno questa è la percezione. I notabili non vengono quasi mai, per loro sembra quasi un disturbo. Da elettore del Centrodestra mi sento abbandonato e sconfortato a vedere Sassuolo, Prato, Orvieto, Venezia, Caltanissetta, Cremona, Savona. Ma perché? Troppi bogia nen? Troppa eredità della Fiat Agnelliana? Troppa sinistra della collina, salottiera livorosa e irremovibile? Troppi centri sociali? Troppe Caritas? Un mix di tutto ciò? Per questa gloriosa città, sempre più sporca sempre più pericolosa, da cui è partita l’Unità d’Italia, mi sembra una punizione troppo grande vedere gli eredi del fallito Pci, sempre quelli sempre i soliti, gestire da decenni la vita dei torinesi. Qualcuno si sveglierà, prima o poi? Dubito.

C3aro Paolo, non lo so. Per me Torino è una città magica, nel senso più nobile del termine: ogni volta che ci entro sento un tuffo al cuore. Sarà che ci ho passato alcuni degli anni più belli della mia vita (l’università, la laurea, la mia prima figlia nata all’Ospedale Mauriziano...), ma non riesco a non entusiasmarmi quando parlo del Valentino o di piazza Statuto, persino di largo Orbassano... Eppure mi accorgo che non per tutti è così. Ed è vero che Torino viene un po’ «dimenticata» dai grandi circuiti della politica nazionale. L’ultima volta che ci sono stato, alla libreria Fogola, mi hanno fatto la stessa domanda che ora mi fa lei: come mai Berlusconi e Bossi non sono passati di qui a sostenere la campagna elettorale del Pdl? Perché si fanno vedere così poco da queste parti? Sinceramente, non so che cosa rispondere. Il centrodestra ha in regione alcuni ottimi esponenti (penso a Ghigo o Crosetto per il Pdl o a Cota per la Lega), anche molto influenti a livello nazionale. Però è vero che in Piemonte, e a Torino in particolare, le cose si muovono troppo lentamente. Lei dice: succede perché siamo dei «bogia nen». Forse. Ma lo sa perché i piemontesi sono chiamati così? Non perché, come si crede, sono dei posapiano. Sono chiamati così perché durante la prima guerra mondiale, quando molti soldati scappavano via davanti agli assalti dei nemici, i piemontesi resistevano in trincea, fermi e senza paura, e gridavano a tutti gli altri, in dialetto: «bogia nen», cioè resta lì, non ti muovere. Ecco a me è sempre piaciuto pensare ai piemontesi così: veri e propri «bogia nen», quelli che combattono nelle trincee più difficili, quelli che non si arrendono mai, quelli che resistono, leali fino in fondo, a testa alta, anche quando l’avversario sferra l’attacco con i gas tossici. E perfino quando si sentono dimenticati dai loro generali, magari distratti da altre battaglie.

E nello stesso tempo, però, mi piace pensare che i generali non abusino di tanta generosità. Anche perché nelle trincee, a volte trascurate, dei «bogianen» si combattono quasi sempre le battaglie che diventano poi decisive per il Paese.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica