La vittoria del Barcellona sul Real Madrid? Ormai è un classico, nel «clasico». Roba ordinaria per la «pena», la tifoseria, catalana, oppressione diurna e notturna per le meringhe della capitale. Gli incubi dovranno pure avere un colore, anzi due e Josè Mourinho non può di certo aver trascorso una notte da special one, rivedendo il blu e il granata: le ha buscate a casa sua, nessun «miedo escenico» del Bernabeu, il Barcellona non ha paura di nessuno, cambia teatro ma il prodotto resta quello; il gol fulmineo di Benzema, ventiquattro secondi di gloria e di sbornia, sono stati il segnale che la festa appena incominciata era già finita perché nel football non si può vivere di rendita anche se indossi la maglia storica del Madrid. Guardiola ha dato una lezione di calcio al suo collega portoghese, mai la squadra catalana ha dato limpressione di poter davvero perdere la sfida, tra laltro smentendo una statistica: per settantadue volte il Real Madrid era riuscito a concludere con una vittoria le sfide con il Barcellona nelle quali era passato in vantaggio, alla settantareesima il record è caduto, per «sfortuna» sostiene quella faccia di bronzo di Mourinho che allude ai due colossali gol sbagliati da Ronaldo ma trascura il numero di occasioni bruciate dai toreri di Barcellona.
Lo stesso Barcellona oggi incomincia in Giappone la marcia verso il mondiale per club, torneo evitato due volte da Mourinho che, vinte le champions con il Porto e con lInter, ha preferito andare a raccogliere denari e trionfi altrove. Un motivo di depressione ulteriore sempre che il portoghese coltivi questo tipo di sensazione dallalto del suo Ego spropositato. Lego che lo ha portato a dire che Messi andava espulso e dunque larbitro avrebbe condizionato il risultato ma anche in questo caso dimenticando la mancata espulsione di Pepe, un brasiliano portoghese che usa il football come il boia la ghigliottina (da leggenda la sua squalifica per dieci giornate dopo aver scalciato Casquero, preso a pugni Albin e insultato larbitro e i suoi assistenti, tutto nella stessa partita contro il Getafe, insomma una brava persona coccolata dallallenatore). Ma questo sono cose da portineria, il clasico di Spagna ha dimostrato la qualità del gioco del Barcellona, esaltato dalla prestazione di Iniesta, firmato dai gol dei due ultimi acquisti di mercato, Sanchez e Fabregas mentre il Real è stato tradito dal suo «special dos», Cristiano Ronaldo, e, soprattutto, da una carica nervosa e isterica che non gli appartiene per censo e storia ma gli è stata trasmessa dal tecnico di Setubal. Il Real Madrid picchia anche quando non serve, questo non fa onore anche se, per ora, fa classifica e sembra poterlo spingere verso la finale di champions. La lezione del dieci di dicembre non è umiliante come la «manita» del novembre duemila e dieci ma ha un significato tecnico e tattico superiori, non per il risultato ma per la differenza acclarata tra le due squadre.
Finora Josè Mourinho non fa storia, il Real Madrid esisteva prima di lui ed esisterà anche il giorno in cui il portoghese vorrà lasciare il club, largenteria del Bernabeu non è stata lucidata dalle bizzarrie del tecnico migliore ma anche più maleducato al mondo. Pep Guardiola al contrario ha creato una squadra mitica, nel gioco e nel comportamento. Il Barcellona esisteva già, ovviamente, ma questo Barcellona sembra davvero il più forte di sempre, normale e dunque unico, illuminato da alcuni fenomeni ma civile e lineare nella propria crescita, continua, nonostante le partenze, negli ultimi anni, di personaggi che si chiamano Ronaldinho, Thuram, Etoo, Ibrahimovic, Henry, per citare i più grandi.
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