Una lezione da prendere con filosofia

Mi fa naturalmente piacere che Umberto Galimberti riconosca il proprio errore e lo faccia con parole che non lasciano spazio a dubbi o eventuali future recriminazioni (del tipo, come riferivo nel mio primo articolo, «evaporazione di virgolette»). L’idea di riconoscere, in una prossima edizione dell’Ospite inquietante, natura e mole dei prestiti dal volume di Giulia Sissa mi pare molto saggia, anche se difficilmente praticabile, visto che non solo si trattava di virgolette evaporate ma anche, come precisavo nel mio primo articolo, di «qualche vezzosa, o viziosa, variatio». Senza poi parlare di tracce, nel testo dell’Ospite, di una seconda (rispetto alla recensione uscita sulla Repubblica) e ingegnosa rivisitazione del testo di Sissa (per cui Galimberti si dimostra, contrariamente alla sua excusatio, eccellente filologo).
Un particolare che comunque non deve sfuggire è che i miei articoli proponevano di inquadrare questo episodio di prestito non confessato in una cornice più generale e cioè nei modi in cui il lavoro filosofico in Italia trova (o non trova, a seconda dei casi) vie privilegiate di promozione. La filosofia, sia chiaro, ha i suoi immortali ma ha anche, e soprattutto, i suoi strumenti di immortalità. Che significa che se tutti gli stampatori di Prussia fossero stati concordi sul fatto che Kant era un tipo antipatico, o poco glamorous, o inviso ai «poteri culturali» (e in parte certamente lo fu), oggi, forse, non sapremmo neppure chi era questo Kant. La filosofia che in Italia attrae un pubblico non limitato a specialisti e addetti, che seduce redattori di giornali e grandi editori, non sempre è di grande qualità, che non significa che i suoi autori siano necessariamente cattivi filosofi. Anche se a me pare che un certo gusto per l’oracolarità, una certa verve apocalittica, l’abitudine di stringersi la testa tra le mani e a profferire frasi in qualche lingua morta siano una pessima abitudine, non solo intellettuale ma anche, e soprattutto, civile.
Credo che il posto della filosofia sia tra la gente, e che se la filosofia ha un compito, questo sia quello di costruire un’agenda per un dialogo in cui nessuno sia escluso.

I filosofi massmediatici, specie quelli che, come il Nostro, sembrano sensibili alle ragioni dei critici e capaci di fare ammenda per i propri errori, scendano una buona volta ai piani bassi della conversazione umana (che è altra cosa dalla cura delle anime da consulenti psico-filosofici), che sono in fondo i piani in cui la filosofia è più a suo agio.

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