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Libano, Hezbollah monopolizza il voto al Sud

Quattro elettori su cinque sono sciiti e il leader Nasrallah ripete: nessun disarmo

GIAN MICALESSIN

da Sidone (Libano del Sud)
Nel resto del Paese sono elezioni, qui è soltanto un referendum. Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah lo ripete dal 25 maggio. «Gli americani vogliono le elezioni solo per ottenere dal nuovo governo il disarmo di Hezbollah», urlava alle folle di Beit Jbeil riunite sotto quel cielo di bandiere gialle macchiate dal verde di kalashnikov e Corano. Era il quinto anniversario del ritiro israeliano, la celebrazione del trionfo di Hezbollah, ma Nasrallah pensava già alle elezioni. «Disarmarci è una follia», avvertì Nasrallah. Il bottino d’oggi servirà a dimostrarlo. «Israele ci accusa di avere 12.000 katyuscia, ma ne abbiamo molte di più. Loro non sanno né quante sono, né dove sono e questa è la nostra forza per difenderci e garantire un equilibrio basato sul terrore». Un’esplicita abiura insomma di quella risoluzione 1559 dell’Onu, votata su richiesta di Francia e Usa, che pretende il disarmo di tutte le milizie.
Il voto di ieri nelle regioni di Tiro, Sidone e Beit Jbeil dove l’81 per cento dei 630mila elettori sono musulmani sciiti, servirà a verificare la forza di quell’abiura e a contare i nemici della risoluzione Onu. Nasrallah potrebbe anche aver peccato di eccessiva sicurezza. Ieri sera i primi dati sull’affluenza veleggiavano intorno al 40 per cento. Un buon risultato rispetto al 28 per cento della scorsa domenica a Beirut, ma non abbastanza per parlare d’egemonia assoluta di Hezbollah. «Li portano qui con tutti i mezzi, ma non gli va troppo bene - sussurra verso mezzogiorno George, un cristiano del nord presidente di un seggio sciita di Sidone dove uomini e donne attendono con le schede prestampate in mano. Sembrano tantissimi, ma George sostiene di no. «Guarda, hanno votato solo 131 su 601, non gli sta andando bene», gongola il poco equidistante presidente. Loro, gli elettori, hanno uno slogan per ogni domanda. «Siamo qui per difendere con il cuore e il sangue la resistenza», ripete l’universitario Alì. «Ogni voto è un pugno a Israele e agli americani», recita da sotto lo chador la sua amica Amale. La vittoria sciita non è neppure in discussione. Hezbollah e Amal, il gruppo guidato dal presidente del Parlamento Nabih Berri, conquisteranno senza problemi tutti i 23 seggi a disposizione. A garantirlo ci sono il ferreo sistema uninominale e l’accorpamento di circoscrizioni deciso da Damasco nel 2000 con una legge elettorale studiata per diluire il 18 per cento di voti cristiani del sud.
Ieri questa minoranza non s’è neppure avvicinata ai seggi per protesta contro i candidati “fantoccio” imposti dalle liste tritatutto di Hezbollah-Amal. Nei seggi di Sidone è invece arrivata a metà mattinata Bahia Hariri, sorella dell’ex premier assassinato e candidata “blindata” nella lista “filosiriana” di Hezbollah. Ma la scelta non le dà il minimo imbarazzo.

«E di cosa dovrei preoccuparmi - spiega la signora Bahia al Giornale - i siriani se ne sono andati, queste sono libere elezioni libanesi e i miei alleati sono un partito come gli altri».

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