Gian Micalessin
da Kiryat Shmona
Israele è ufficialmente pronto. Beirut traccheggia. Il cessate il fuoco è già un'incognita. Alle otto di stamattina le armi hanno smesso di sparare. Ma potrebbero riprendere quanto prima. Gli accordi politici e militari dietro la tregua sono esili, sottili, incerti. Ehud Olmert ha impiegato sei ore per far sfogare il malumore dei suoi 23 ministri e far approvare, con l'unica astensione dell'ex capo di Stato maggiore Shaul Mofaz, l'interruzione dei combattimenti.
Dall'altra parte il primo ministro libanese Fuad Siniora certo, fino a sabato sera, di aver compiuto un piccolo capolavoro diplomatico garantendosi la fine delle ostilità, il controllo del Paese e la fama di salvatore della patria deve fare i conti con le imboscate dei due ministri di Hezbollah e dei loro alleati filo siriani all'interno del governo. La cruciale discussione sul ruolo dei 15mila soldati libanesi da schierare al fianco delle forze Onu per garantire il disarmo di Hezbollah è stata nuovamente rinviata. Siniora ha rimandato a tempo indefinito la riunione dei propri ministri e sembra già sotto scacco. Il ministro dellenergia, Mohammad Fneish (hezbollah) avrebbe chiesto la restituzione dellarea delle fattorie di Sheeba, senza questo atto non si procederà al disarmo di hezbollah in nessuna parte del Paese. Fneish avrebbe usato toni durissimi, di vera e propria sfida al governo. Il generale Michel Sleiman, capo dellesercito libanese, avrebbe detto che non schiererà neanche un soldato senza laccordo con gli hezbollah.E Siniora di fronte a queste posizioni avrebbe assicurato al presidente del Parlamento Nabih Berri che senza un sì degli hezbollah non si muove foglia.
Senza il via libera allo schieramento dei 15mila soldati il governo continuerà a non controllare il sud del Libano, la risoluzione 1559 continuerà a non trovare realizzazione e la tregua continuerà a restare illusoria. Il dispiegamento della forza internazionale sotto bandiera dell'Onu non basterà, da solo, a garantire il ritiro dei 30mila uomini di Tsahal. Israele ha più volte ricordato di considerare fondamentale e tassativo per il proprio ritiro il parallelo dispiegamento di forze Onu e forze libanesi. Il concetto viene ribadito dal ministro degli Esteri Livni subito dopo l'approvazione del cessate il fuoco da parte del governo. «Il ritiro israeliano avverrà soltanto parallelamente al dispiegamento dell'esercito libanese al fianco del contingente internazionale, non accetteremo una situazione in cui ci venga chiesto di andarcene alla comparsa del primo soldato libanese - ribadisce la Livni in una conferenza stampa al fianco del responsabile della politica estera europea Javier Solana - vogliamo ritirarci, ma soltanto parallelamente al contingente libanese e a quello internazionale».
Il sabotaggio dei ministri di Hezbollah e delle quinte colonne siriane all'interno dell'esecutivo libanese è solo il più evidente punto debole del castello di carte politico diplomatico e militare su cui si poggia il cessate il fuoco. Le sei ore impiegate dal governo israeliano per discutere e votare la tregua indicano quanto fragile sia, anche lì, il consenso alla cessazione delle ostilità. Subito dopo aver ottenuto il via libera, Olmert incensa la tregua definendola «una buona decisione». Ma ottenerla è stata una via crucis. In quelle sei ore di discussioni il fragore delle accuse infrange qualsiasi barriera di segretezza. Il premier Ehud Olmert si ritrova nuovamente messo al muro, schiacciato sotto il peso propri insuccessi, delle proprie indecisioni. In un clima reso più greve dalle notizie sulla morte di due dozzine di soldati in 24 ore di combattimenti Olmert viene accusato di aver buttato alle ortiche il deterrente militare costruito in 60 anni di storia, di aver sacrificato inutilmente le vite di soldati e civili, di aver creato le premesse per un prossimo imminente conflitto. Molti nell'aula sottolineano la mancanza di qualsiasi accordo sul ritorno dei due soldati rapiti il 12 luglio scorso. Il casus belli resta dunque aperto anche dopo un mese di guerra e rischia di trasformarsi in una umiliante trattativa.
I solchi profondi scavati da questo mese di conflitto all'interno dell'esecutivo impressionano persino un veterano della politica come Shimon Peres. Il vice premier lancia un appello a tutti i componenti del governo li invita a ricomporre divisioni e rivalità. Ma non è facile. Vere e proprie trincee dividono ormai Olmert dal ministro della difesa Peretz e dalla signora Livni. L'ex sindacalista schierato con i generali accusa il premier di mancanza di coraggio.
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