Il Libano? È un vero paradiso Ma solo per i mercanti d’armi

Il Libano? È un vero paradiso Ma solo per i mercanti d’armi

Una tragedia per chi ci lascia la pelle. Un affare per chi vende armi o combatte al soldo del regime. Sono i due volti della guerra civile siriana, i due filoni su cui s’intrecciano gli affari dei trafficanti d’armi libanesi e quelli delle Shabiha, le gang assoldata dal regime per intimidire ed uccidere gli oppositori. La piazza più sicura e più redditizia per questi affari maledetti è il Libano. Lì dal 1975 in poi si sono consumate un’interminabile guerra civile e lo scontro tra Hezbollah e Israele. Lì proliferano i trafficanti d’armi. Lì enormi depositi d’armi attendono il miglior offerente. Il Libano, la città sunnita di Tripoli e ampi settori della frontiera settentrionale con la Siria sono anche la grande retrovia della rivolta contro il regime di Assad. Da lì partono le rotte clandestine che garantiscono i rifornimenti ai militanti asserragliati nel cuore di Homs, città simbolo della rivolta contro Bashar Assad. Là opera quella borsa clandestina della guerra che registra un inarrestabile boom nelle vendite di pistole, kalashnikov, mitragliatrici e lanciagranate anticarro.
I listini di questi traffici sono un indicatore delle tendenze del conflitto. E non inducono certo all’ottimismo. Le pistole Glock - richiestissime per l’ingombro limitato, la precisione e i caricatori capaci di contenere fino a più di 30 colpi - registrano rincari del 30 per cento passando dai 1500 agli oltre 2000 euro. Bazzecole rispetto al kalashnikov, l’arma individuale di cui nessuno può fare a meno. In poco più di sette mesi il prezzo di un Ak 47 in buone condizioni è passato da 850 euro ad oltre 1500 euro. Ma chi vuole sfoggiare la versione a canna corta, tanto amata da Bin Laden, deve rassegnarsi a sborsarne almeno 4500 contro i poco più 2000 di qualche mese fa. Anche la vecchia dashaka, la ponderosa mitragliatrice DShK calibro 12,7 dell’era sovietica famosa per incepparsi una volta sì e una no continua ad esser assai richiesta. Per caricarsi sulla schiena quei 34 chili di ferraglia non bastano meno di 4000 mila euro contro i 2500 dello scorso marzo. L’arma in testa ai grandi rialzi di guerra è l’Rpg B7, il lanciarazzi anticarro che i sovietici copiarono dal Panzerfaust della Wehrmacht tedesca. Un anno fa quel tubone di ferro e il suo primitivo sistema di puntamento non valeva più di 700 euro. Oggi per portarselo a casa ce ne vogliono 1500. I suoi razzi a carica cava capaci di sventrare un blindato o un carrarmato di vecchia concezione sono merce ancor più prelibata. Le loro quotazioni sono quintuplicate passando dai 400 agli oltre 2000 euro per colpo.
La grande richiesta di quest’arma fa capire come i ribelli stiano ormai affrontando in campo aperto i blindati usati per sedare le proteste nelle città. «Quei prezzi sono pazzeschi, ma è tutta roba che va in Siria… lì Rpg, kalashnikov e dashaka sono la mercanzia più richiesta», conferma Abu Rida, un mercante d’armi libanese intervistato dal Times. Quei traffici d’armi e i bilanci di un conflitto già costato quattromila vite fanno anche la fortuna dei fedelissimi del regime. Preoccupato dalla scarsa fedeltà di un esercito formato in maggioranza da sunniti Assad ricorre sempre più a milizie «mercenarie». Le più temute sono le Shabiha. Il loro nome significa «come fantasmi» e molti degli avanzi di galera che le compongono vengono reclutati tra la minoranza alawita a cui appartiene la famiglia Assad.

Ma anche il costo delle Shabiha è in continuo aumento. Fino a qualche mese per mandarli a uccidere e morire bastavano 30 euro al giorno. Oggi ce ne vogliono molti di più. È il business della guerra. E chi non paga muore.

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