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Libano, il villaggio del non voto

Si profila uno scontro con Blair sul bilancio dell’Unione

Gian Micalessin

da Jezzine

Un tempo erano centomila anime e 48mila voti. Erano i cristiani di Jezzine, quelli rimasti qui nel sud del Libano dai tempi delle crociate. «Quelli sopravvissuti ai secoli e - racconta orgoglioso padre Maroun - alle persecuzioni di sciiti e mammalucchi». Oggi sono 100mila fantasmi, 48mila voti già rubati, in quest’universo monocolore dove gli sciiti di Hezbollah e Amal eleggeranno tutti i 23 seggi a disposizione. Sei li hanno già conquistati per mancanza d’avversari. Per gli altri 17 devono solo attendere le sei di questa sera, orario di chiusura per un rito senza sorprese. I fantasmi di Jezzine quest’oggi staranno a guardare.
Di questa cittadina, dei suoi villaggi e delle sue cascate oltre le prime montagne, settanta chilometri a sud di Beirut, era famosa, un tempo, la frescura capace d’asciugare anche il sudore delle più tormentate caldane agostane. Poi arrivò la guerra e i cristiani di Jezzine divennero i traditori, quelli delle milizie del generale Lahad, alleati dell’invasore israeliano. «Ma cosa potevamo fare, eravamo coccio tra vasi d’acciaio, dovevamo scegliere tra l’odio dei musulmani e la protezione degli israeliani», alza le braccia al cielo padre Maroun Akhouri. Ha 47 anni, ha preso i voti a Lione, ma quella guerra ha segnato anche la sua giovinezza. Come quella di troppi spettri di Jezzine. «Cercavamo solo di sopravvivere, ma loro hanno giurato di farcela pagare», grida un’altra voce. Nella parrocchia di Sant’Antonio è arrivato anche Ghazan Rahal, professore di Storia al liceo regionale. Anche per lui oggi sarà un giorno come un altro. «Solo la chiesa sarà piena, i seggi no di certo - borbotta -, qui nessuno voterà, nessuno asseconderà Hezbollah e Amal, non daremo ai “barbuti” e a un lacché dei siriani come Nabih Berri (il presidente del Parlamento leader di Amal ndr), il gusto di obbedire».
Le liste pronte già appese nei seggi della circoscrizione indicano per i cristiani i nomi di Sarir Azar, Pierre Serkali e Antoine Houri. Ma basta nominarli per far storcere la bocca a tutta la città. «Quelli sono solo burattini, sono i cristiani scelti da Amal e Hezbollah per illuderci di avere dei rappresentanti in Parlamento», inorridisce Roula. Ha 24 anni scrive per An Nahar, il quotidiano di Samir Kassir, il giornalista ucciso in un misterioso attentato, sepolto ieri a Beirut. «Sono solo fantocci - sostiene la corrispondente -, ascolteranno solo chi li ha messi nelle liste, non ci rappresenteranno neppure per un istante». Per questo qui a Jezzine tira aria di boicottaggio duro e appassionato. «Nessuno di noi si avvicinerà alle urne», promette e ripromette il professore Ghazhan. Padre Maroun spiega, invece, il sortilegio che ha trasformato le sue pecorelle in elettori smarriti, privi di anima, volontà e diritti. «La legge elettorale del 2000 studiata dai servizi segreti di Damasco doveva dividere e indebolire il voto cristiano in Libano... ma qui ci hanno semplicemente azzerato. Prima Jezzine e i suoi 56 villaggi erano un’unica circoscrizione di 48mila cristiani e diecimila sciiti estesa fino a Sidone. Nel 2000 siamo stati accorpati alle grandi circoscrizioni sciite del sud e siamo diventati il 3 per cento in un’immensa circoscrizione all’87 per cento sciita. Oggi il nostro peso è zero e chi controlla le liste sceglie anche i nostri candidati».
A spiegare l’orgoglio cattolico e la scelta del boicottaggio ci pensa il 52enne Simmon Qarram, un ex ambasciatore che nei primi anni Novanta abbandonò la sede di Washington per non servire l’occupante siriano e aiutò molti concittadini accusati di collaborazionismo. Per questi meriti è considerato da molti abitanti di Jezzine come il vero candidato ombra, quello che tutti avrebbero votato se la scelta delle liste fosse libera. Ma Simon Qarram scuote la testa sconsolato: «Nel 2000 andammo a votare sperando di cambiare qualcosa, ma poi capimmo subito di non contare nulla. Oggi non rifaremo lo stesso errore. Chi ha scelto di servire i vincitori questa volta dovrà provare il peso di una totale squalifica morale.

Dovrà entrare in Parlamento esibendo il marchio di un’elezione vinta senza elettori, di una designazione conquistata inginocchiandosi al tavolino dei potenti».

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