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Libera la rom rapitrice. Fini: intervenga Castelli

Su una lapide c’è l’11 aprile ’94 . Ma su un’altra il 9 settembre, come in un documento della Legione

Libera la rom rapitrice. Fini: intervenga Castelli

Andrea Acquarone

In cella ha trascorso giusto tre giorni. Perché, nonostante abbia tentato di rapire un neonato, tutto sommato, per dirla con termini non legulei, «non è così cattiva». E soprattutto non è dimostrabile che - nonostante gli scossoni alla culla, il seguente violento tiramolla coi genitori da una parte e lei con una complice dall’altra a cercare di portarsi via il passeggino, fino alla fuga per evitare la cattura - avesse alle spalle un’organizzazione tale da consentirle un sequestro di persona. Così, giusto per non smentire quel senso ormai comune di impotenza che attanaglia gli onesti di fronte alla legge, il gip di Firenze, Anna Sacco, accogliendo le richieste del pm Luca Turco, ha sì convalidato per il reato di tentato sequestro di persona l'arresto della nomade romena di 34 anni, bloccata martedì scorso nel centro di Firenze dopo il mancato rapimento, ma contemporaneamente l’ha scarcerata: non c'erano indizi gravi che avvalorassero la pericolosità e che quindi rendessero necessaria la misura cautelare, ha spiegato.
La Procura di Firenze, sul piano strettamente (e solo) giuridico, ha ritenuto dunque attendibile la versione della madre del piccolo e la ricostruzione che emerge dal verbale di arresto dei carabinieri. Ma siccome si sarebbe trattato di un tentativo di reato, per tenere in carcere la zingara romena sarebbe stato necessario trovare indizi gravi che avvalorassero la pericolosità della donna. Finora non sono emersi, dunque libera di tornare a piede libero.
Secondo il gip per rapire un bambino serve alle spalle un’organizzazione che finora non è stata individuata. Forse - ipotizziamo noi -, voleva soltanto cullarlo. Lei, davanti al gip, del resto aveva respinto gli addebiti, negando persino di essersi mai avvicinata al piccolo di cinque mesi. E le sue legali, Luisa Benedetti e Claudia Scappini, oltre a chiedere la non convalida del fermo, avevano sollevato dubbi sulla credibilità della madre del bambino, sostenendo che la giovane madre ligure, in visita turistica col marito a Firenze, potesse aver avuto una percezione errata di quanto realmente stava accadendo.
Una decisione, questa della liberazione della Rom, che non poteva non gettare altra benzina sul fuoco delle polemiche. «Perché questa donna è tornata libera? Chiederò al ministro Castelli di verificare le ragioni della scarcerazione», ha attaccato ieri il vicepremier Gianfranco Fini. «Non si può giudicare un caso che non si conosce - ha premesso Fini -, ma mi sembra opportuno chiedere al ministro della Giustizia se esistono valide ragioni perché un gip, dopo avere riconosciuto che la nomade ha tentato il sequestro del neonato, l'ha poi rimessa in libertà».
«Chi giudica deve tenere presente il comune senso di giustizia che il popolo stesso avverte» e «non vorrei che ci trovassimo di fronte al solito episodio di razzismo al contrario, vale a dire che poiché chi si è macchiato di tale reato è una nomade allora ha diritto all'impunità», concorda il ministro Castelli. Che aggiunge: «Se è vero, è un'altra decisione lontana dal popolo». «A mio avviso il comma 1 dell'Art. 101 della Costituzione che recita: “La Giustizia è amministrata nel nome del popolo” e che ho dato disposizione di scrivere in tutte le Corti d'Appello, significa anche che chi giudica deve tenere presente il comune senso di giustizia che il popolo stesso avverte», puntualizza il Guardasigilli. «Per questo caso specifico occorrerà verificare le effettive circostanze di ciò che è accaduto, poiché spesso i media riportano delle notizie che dal punto vista giuridico non sono sempre esatte - afferma il Guardasigilli -.

Ma se quanto riportato fosse vero, dato il reato particolarmente odioso e data la certezza che il soggetto in questione possa sicuramente reiterare il reato, la mancata richiesta di una misura cautelare sarebbe un'altra decisione contro il comune senso di giustizia popolare e andrebbe quindi ad alimentare il senso di sfiducia dei cittadini nei confronti della magistratura».

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