Cultura e Spettacoli

Il liberalismo? Per i bambini è favoloso

Trama: una famiglia di scapestrati assistiti dallo Stato in tutto e per tutto (si va dal sussidio di disoccupazione a una finta invalidità totale) finisce per caso in una terra di nessuno in riva al mare. Un raro angolo di America in cui, come ai tempi dei pionieri, è possibile piantare letteralmente le tende e dire, dopo sei mesi di permanenza: «Questo terreno mi appartiene». Gli sfaticati, i Kwimper, lentamente si inventano una attività imprenditoriale di crescente successo e rinnegano i sussidi. La burocrazia cerca di farli sloggiare, ma loro si oppongono facendo leva proprio sulle debolezze della burocrazia stessa: per fortuna il capofamiglia sa come infinocchiare i funzionari a colpi di cavilli contenuti nella sterminata mole di leggi a disposizione (oppure inventati ad hoc, tanto è impossibile controllare). I Kwimper ne passano di tutti i colori. Devono battere non solo il governo occhiuto, ma anche la criminalità e infine le intemperie. Solo di fronte alle tasse (inevitabili come la morte, come vuole il luogo comune) dovranno in parte chinare il capo.
Il romanzo comico (ma serissimo nei fini) Vacanze matte di Richard Powell (Einaudi) è quindi una divertentissima apologia dello spirito americano. Il libro non è inedito in Italia (uscì nel 1967 per Garzanti), ma torna sulla scia di una mobilitazione in Rete. Perché questa fiammata di popolarità improvvisa? Forse per il suo contenuto nettamente anarco-capitalista, in questo momento in sintonia con la tanto invocata lotta agli sprechi, alla casta, alla burocrazia, etc. Eppure, visto che siamo in Italia, e sembra brutto, quasi poco educato, far professione di antistatalismo, è toccato leggere che i Kwimper sarebbero la negazione vivente del sogno a stelle e strisce, oppure, come scrive Francesco Piccolo nell’introduzione al volume, che alla fine i Kwimper, sfruttando lo Stato, non fanno che ribadire il loro senso d’appartenenza alla comunità: «È un modo di dire: lo Stato è roba mia, lo Stato siamo noi».

Peccato che il senso del libro sia esattamente l’opposto.

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