Libero d’uccidere per un giudice fannullone

Rabbia e dolore per lo studete travolto dal clandestino in auto. Arrestato più volte per ricettazione e rissa, il pirata moldavo era tornato in circolazione sulla fiducia. Aveva dichiarato di avere la moglie incinta, il tribunale si è preso tre mesi di tempo per accertare se era vero

Libero d’uccidere per un giudice fannullone

Roma - Non è bastato il decreto di espulsione dello scorso 18 maggio: Ignatiuc Vasile l’ha ignorato, restando in Italia e continuando a delinquere. E non è bastato nemmeno che il 23enne moldavo venisse beccato dai carabinieri, due settimane dopo, mentre gironzolava per Colleferro a bordo di una moto. Rubata. Nel processo per direttissima, infatti, spunta la parola magica: «Mia moglie è incinta». Ed ecco che il 23enne torna in circolazione «sulla fiducia». Già, perché la decisione sull’espulsione finisce rimandata a settembre, in attesa di «accertamenti» che confermino lo stato interessante della sua signora. Per il giudice del Tribunale di Velletri, insomma, la parola del clandestino moldavo basta e avanza a mandarlo fuori, libero come l’aria. La sua parola vale più dei suoi trascorsi non proprio impeccabili, più degli arresti per ricettazione e per rissa, più del fatto stesso che, fregandosene del decreto di espulsione, Vasile se ne andasse in giro su una moto rubata. Per la legge, se sua moglie aspetta un bimbo, l’espulsione va rinviata. E così, in attesa di capire se è vero che Vasile diventerà papà, il tribunale di Velletri lo manda via con un rendez-vous fissato per il 5 settembre. Peccato che, scivolato ancora una volta tra le larghe maglie della giustizia nostrana, il giovane moldavo l’altra sera decide di arricchire ancora il suo curriculum criminale rubando un furgone e schiantandosi contro un’utilitaria, inseguito dalla polizia, nel centro di Roma. Due mesi dopo il giorno in cui avrebbe dovuto lasciare l’Italia. Tra le lamiere della piccola Citroën dilaniata ci sono tre ragazzi. Rocco Trivigno, 20 anni appena, arrivato aRomadalla Basilicata per studiare chimica, finisce di vivere in quel momento. Sua sorella e l’amico, in auto con lui, sono feriti gravemente. L’incrocio è quello tra via Nomentana e viale Regina Margherita, dove a fine maggio un italiano senza patente aveva travolto e ucciso Alessio e Flaminia, due fidanzati su uno scooter. E stavolta è una fortuna per Ignatiuc che ci sia la polizia a inseguirlo, perché tra quanti assistono all’incidente c’è chi vorrebbe farsi giustizia subito. Il 23enne finisce dietro le sbarre, e probabilmente dopo questo sfacelo non gli andrà bene come nelle precedenti esperienze. Ma il giorno dopo l’indignazione e la rabbia sono inevitabili e nascono dalla consapevolezza che, questa volta più che mai, la tragedia poteva e doveva essere evitata. Perché senza un «buonismo» della giustizia che ora suona beffardo, senza una fiducia che se non è insensata o cieca appare quantomeno malriposta, Ignatiuc Vasile non avrebbe dovuto trovarsi a quell’incrocio. Anzi, semplicemente non avrebbe dovuto trovarsi in Italia. Così l’insofferenza guadagna spazio, trova uno sfogo nel tono esasperato dei biglietti che mani anonime lasciano sul luogo dell’incidente, accanto alle foto di Rocco, non lontano dai fiori ormai secchi e dai messaggi che, a maggio, piangevano Alessio e Flaminia. «Chi è colpevole deve pagare a prescindere dal colore della pelle e dall’etnia». È questo il messaggio che lancia la famiglia di Rocco Trivigno. «Basta! Carcere duro, pena dura, pane e acqua in una cella con i ratti per il tuo assassino », scrive qualcuno. E un altro su un secondo biglietto «l’omicidio volontario per il gran bastardo ».

E tra chi passa per portare un fiore c’è chi si spinge anche oltre con le recriminazioni: «Il problema - scuote la testa un anziano - è che gli è stato permesso di farla, questa strage. Gli è stato permesso di continuare a muoversi libero, a rubare, e alla fine di arrivare a uccidere. Se questa è la giustizia, chi la amministra così dovrà mettersi un paio di mani sulla coscienza».

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