La libertà «costa» mezzo milione

Maria Vittoria Cascino

Occhi scuri e profondi. Mobilissimi nel suo raccontare quieto. Non un gesto di rabbia né un moto di cuore. Auri Campolonghi in sessant'anni ha distillato tutto. Magari nelle sue pitture e sculture. Magari nei suoi scritti. Non sei lì per ascoltare lei, ma lei quasi scusandosi ha qualcosa da dirti. Un'altra chiazza di colore in questo viaggio tra i dimenticati del '45. Altri pezzi di vita per ricomporre un quadro stinto. Auri è di Sarissola, entroterra di Genova. Sposò Gianfranco «Jean» Repetto dei Repetto di Busalla. Quelli della fabbrica di viti e bulloni. «Avevano 100 dipendenti e un tenore di vita alto. Mio marito dopo l'8 settembre '43 non si schiera né con partigiani né con i fascisti. Per sfuggire ai controlli va a lavorare in porto». Sono sfollati, Auri e famiglia. Tempo di bombe e sequestri. In quell'autunno della guerra vivono a Seminella, una frazione di Busalla. «Due stanze in tutto. La cucina stava due case più su, mio suocero l'aveva ricavata nell'essiccatoio delle castagne». Repetto compra anche una mucca, la tiene nella stalla adiacente all'abitazione dell'ingegner Rugo, proprietario dell'acquedotto Nicolay. Da lui aveva preso in affitto i locali. «Una sera, come tante, esco con mio suocero per mungerla. Lui ha il secchio piano quando si chiude la porta alle spalle e sentiamo un rumore di passi. Vediamo due uomini correre verso la casa dell'ingegnere». Auri stringe le mani e ricompone il quadro dei due partigiani che bussano, dell'ingegnere che esita dietro la porta, di loro che si dichiarano amici. «Ma lui non era colpevole di alcunché. Si fida perché non ha nulla da nascondere. Apre la porta e gli sparano, ferendolo gravemente alle gambe». La moglie con il bimbo di tre mesi si precipita sul ballatoio. «Un attimo per focalizzare il marito a terra in un lago di sangue e i due uomini armati. Quel vigliacchi, uccidete anche me glielo butta addosso con la disperazione della fine. Ma loro scappano».
Auri e il suocero cercano di dare i primi soccorsi, trasportando Rugo in casa. Tamponano le ferite con asciugamani in attesa del medico, «mentre i manenti restano in silenzio dietro le porte chiuse. Alle spalle di Seminella - riprende Auri - verso Crocefieschi, c'era una casa abbandonata dove stavano i partigiani. La zona la battevano in lungo e in largo e una sera arrivano a bussare da noi. Apro e mi trovo il mitra sulla pancia. Erano due giovani, dicono a mio suocero di prepararsi, che avrebbe dovuto seguirli. Lui prende tempo, insiste che li conosce, che è inutile facciano gli sbruffoni. Alla fine va con loro». Auri racconta che lo condussero in un edificio. Lo chiusero in una stanza dove passò la notte. All'alba forza la porta ed esce. «Sente delle voci dalla stanza vicina, apre e trova il suo capofabbrica con altri. Gli chiedono un milione, lui contratta per 500.000 lire e lo liberano». Auri quelle due facce se le tiene negli occhi e le riproduce sul retro di un calendario. Due ritratti somiglianti a tal punto da costituire una prova. Il suocero consegna ai partigiani la somma pattuita, ma conserva i ritratti, li piega con cura e li mette nel portafoglio. «Finita la guerra si presenta al locale Cnl, mostra i ritratti dei due e prova a chiedere indietro i soldi». Auri rallenta sul quel passato scremato di emozioni. Vuole essere chiara, vuole proiettare una serie di flash perché la storia di quegli anni possa galleggiare anche nelle trasparenze dolorose di chi aspettava. «Finita la guerra tornammo a casa. Qui però avevano requisito tutto. Poi vengono a prendere anche mio marito». Il momento è drammatico. Auri deve partorire. Va alla clinica Montallegro. Il cuore stretto e l'incognita di un marito che non sa dove sia recluso e perché. «In camera con me c'era la fidanza di un capitano inglese di stanza a Genova. Parliamo, le racconto la mia storia. Lei riferisce al capitano. Che s'informa. Mi dice che mio marito è trattenuto nella prigione della questura. Mi dice di stare tranquilla: non gli era stata imputata alcuna accusa precisa. Grazie al capitano verrà scarcerato». Un lieto fine che distende gli animi, che spiana le barricate. Auri ha detto tutto.

La voce calma, gli occhi lucidi. «Non so se servirà quanto le ho raccontato…». Torna a parlare delle sue opere, della sua vita altra. Ma può succedere che una anche sola pennellata cambi la luce d'un quadro visto troppe volte.

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