di Antonio Ghini*
Nel Paese delle opinioni forse è meglio basarsi sui fatti. Ho il privilegio di poter vedere gli umani: uomini, donne, ragazzi di ogni parte del mondo, sfilare tre le auto esposte al Museo Ferrari di Maranello. Più di 320.000 nel 2013. Per l'esattezza 321.749, tutti paganti. Mi permetto di sottolineare questo punto che significa, nei fatti, che, comparando il numero dei visitatori moltiplicati per il valore del biglietto pro capite, il Museo di Maranello è il terzo in Italia, dopo quello di Castel Sant'Angelo a Roma e Il sistema museale fiorentino con Galleria degli Uffizi e Accademia. Questo per dire che, come punto di osservazione della passione per l'auto, il Museo di Maranello non è proprio un punto sbagliato.
Quando me ne sto a osservare i visitatori, e lo faccio spesso perché bisogna capire cosa la gente cerchi, c'è una cosa molto chiara che emerge: le persone guardano le automobili, sognando. È facile dire, bella forza, sono Ferrari. Quando guardano i modelli esposti, da strada o da corsa, si fotografano e si fanno fotografare, lo fanno perché quelle automobili così speciali, altro non sono se non l'idealizzazione di un mezzo di libertà, di autonomia e di divertimento che si chiama automobile e non Ferrari.
Quando nel 2006 organizzai uno straordinario viaggio attraverso la Cina con due Ferrari Scaglietti guidate, a turno, da giornalisti di ogni parte del mondo, rimasi colpito da una cosa che conferma ciò che dico: arrivando nei luoghi più sperduti della Mongolia o del Tibet con le nostre Ferrari e due Fiat di assistenza per fotografi e operatori tv, i cinesi esclamavano con stupore «Falali» ma, poi, andavano a guardarsi le Fiat. Le «Falali» erano un sogno, le Fiat una speranza. La speranza di possedere un bene capace di cambiare vita, lavoro e piacere quotidiano.
Ci domandiamo se dovremo avere ancora l'auto o no, e se l'auto che avremo sarà nostra o di tutti, e guidata da noi o da altri? No. Se lo domandano altri al nostro posto. Ciascuno di noi si chiede, giustamente e ragionevolmente, come potrà fare ad avere un'auto che consumi meno, che protegga di più, che offra i benefici di tecnologie in costante progresso. Ma, allo stesso tempo, ci domandiamo come sarà la nostra macchina, quella che conserva i valori ai quali siamo giustamente abituati.
*Direttore dei Musei Ferrari
di Maranello e Modena
e di «The official Ferrari Magazine»
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