Tripoli - "L'inviato della morte", come i servizi segreti occidentali chiamavano l'ex ministro degli Esteri libico Mussa Koussa, è solo la punta dell'iceberg della spaccatura nella cerchia ristretta del regime di Gheddafi. Il colonnello, però, resiste perchè può contare su un paio di generali senza scrupoli e su alcuni dei cinque "apostoli". Stiamo parlando degli ex giovani ufficiali golpisti che rovesciarono la monarchia nel 1969. Uno di questi, il ministro della Difesa Abu Bakr Younis Jaber, è l'ago della bilancia del destino di Gheddafi.
«Mussa Koussa ha disertato perchè temeva di fare una brutta fine. Il leader non si fidava più di lui. I compagni della rivoluzione dell'ex ministro degli Esteri stavano disertando uno dopo l'altro» rivela a Il Giornale una fonte della sicurezza libica. Koussa, fuggito a Londra, era uno dei dieci studenti del Movimento che si opponeva alla monarchia, ancora prima del golpe di Gheddafi. I dieci studenti fondarono i Comitati rivoluzionari e Koussa, laureato negli Stati Uniti, fu inviato in Europa come 007 con la copertura diplomatica. Dal 1994 capo dell'intelligence libica, ha trattato con gli occidentali i dossier più spinosi, come l'attentato di Lockerbie, che fece esplodere un aereo Pan Am uccidendo 270 persone. Non a caso la magistratura scozzese vuole interrogarlo. Poi ha negoziato con gli americani l'abbandono del programma nucleare libico e il riavvicinamento del colonnello al mondo civile.
"L'inviato della morte" temeva di fare la fine del cognato di Gheddafi, Abdallah Senoussi, altro ex della sicurezza. Senoussi deve avere tentato un colpo di mano interno, prima dei raid alleati, nella cittadella fortificata di Bab al Azizya residenza del colonnello a Tripoli. Sembra che il suo corpo sia stato ritrovato sul fronte orientale, ma senza testa.
I compagni dei Comitati rivoluzionari di Koussa stanno cedendo uno dopo l'altro. Il primo è stato l'ex ministro degli Esteri Abderrahman Shelgam, ambasciatore all'Onu che ha platealmente abbandonato il regime. In queste ore lo ha abbandonato anche Abdussalam Treki, altro ex ministro degli Esteri che il leader libico aveva nominato al posto di Shelgam al Palazzo di Vetro. E si rincorrono voci su un altro ex studente rivoluzionario e tassello cruciale del regime pronto a mollare, che sarebbe già in Tunisia: è Abuzed Omar Dorda, ex primo ministro, che nel 2009 ha sostituito proprio Koussa ai vertici dei servizi segreti libici.
Gheddafi continua a resistere grazie ad una cerchia sempre più stretta di generali. Il golpe del 1969 fu realizzato da 12 ufficiali, gli "apostoli" della rivoluzione. Sette vennero ben presto messi da parte e solo 5 presero veramente le redini del potere. Di questi fedelissimi, Abd Al Muneim al Hawni, rappresentante presso la Lega araba, ha già disertato. L'ex braccio destro del colonnello, Abd al-Salam Jallud, ha dato ordine alla sua tribù di armarsi, ma di non sparare un colpo prima di aver capito come va a finire.
Dei 5 compagni d'arme di Gheddafi che hanno gestito il potere negli ultimi 42 anni, solo due gli sarebbero rimasti veramente fedeli, i generali Mustafa Kharobi e Khweldi al Hamidi. Gheddafi si fida pure di un paio di alti ufficiali senza scrupoli, che però non facevano parte degli "apostoli" della rivoluzione. Si tratta del generale Ali Riffi al Sharif, capo di stato maggiore dell'aeronautica e della difesa aerea. Non a caso l'aviazione libica e la contraerea non esistono più, cancellate dai raid alleati. Il generale Hassan El Kassah, responsabile della polizia segreta del ministero dell'Interno, si è sempre distinto per aver represso senza pietà i precedenti lampi di rivolta contro Gheddafi.
Poi il colonnello conta sul figlio Khamis, che controlla i kataeb, le milizie popolari, con il compito di difendere non solo il regime, ma la famiglia Gheddafi. Khamis comanda pure la 32ª brigata, una delle poche unità d'elite. Il vero ago della bilancia, però, è il ministro della Difesa Abu Bakr Younis Jaber, il membro più importante dei 5 "apostoli". Non solo: dalla sua parte ha la tribù degli Al Mugiabra nella zona centro sud del Paese, dove si trova il grosso degli arsenali libici. «Finora ha assunto una posizione neutrale - spiega a Il Giornale chi lo conosce -.
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