Roma - Francia, partito, rapporti con la Lega, referendum e rimpasto di governo. Il premier parte alla volta di villa Certosa per un paio di giorni di relax ma con sottobraccio un fascicolo pieno di noie. Sul fronte immigrazione e guerra con la Libia, è tutto un lavorio diplomatico con Parigi. C’è da rasserenare il clima tra Francia e Italia in vista del vertice di martedì prossimo con il presidente Nicolas Sarkozy. I rapporti tra i due Stati avevano scricchiolato all’inizio della crisi libica e le voci su una possibile richiesta di sospensione del trattato di Schengen, da parte di Parigi, avevano provocato stupore a Roma. Grana rientrata grazie alla smentita ufficiale della Francia («tutto un malinteso», ndr) che ha riportato la temperatura dei rapporti a livelli accettabili. Ora si tratta soltanto di limare il testo di accordo, da sottoscrivere in occasione del summit. I due Paesi dovrebbero convergere nel chiedere all’Europa un rafforzamento di Frontex, agenzia che coordina gli Stati Ue nella gestione delle frontiere esterne. Altro tema sarà quello di spingere per una politica comune sull’asilo e sugli aiuti ai Paesi da cui partono i barconi della speranza. Insomma, nessuno si muova in proprio, pensando al solo interesse nazionale. Sull’argomento clandestini c’è ottimismo. Resta da sciogliere un altro nodo, però. Si sta cercando di arrivare a una posizione comune anche per quanto riguarda la crisi del Nord Africa, in special modo sul fronte libico. Qui le posizioni tra i due Stati non hanno sempre coinciso, specie sulla gestione del coinvolgimento militare. Ma in queste ore si sta lavorando senza sosta, dal punto di vista diplomatico, per limitare al massimo le diversità di vedute.
Se con Parigi le ultime ruggini dovrebbero scivolare via entro martedì, restano in piedi quelle relative al partito, in fibrillazione da tempo. Berlusconi ha chiesto a tutti una sorta di tregua e di limitare gli sfoghi correntizi. Già di per sé mal viste le riunioni, le cene, i raduni più o meno carbonari delle diverse anime del Pdl, il Cavaliere continua a stigmatizzare che le lamentele finiscano quotidianamente sui giornali. Una ferma condanna perché «non possiamo dividerci anche noi in falchi e colombe». Più volte, pur avendo compreso le doglianze di chi nei giorni scorsi è sfilato a palazzo Grazioli, aveva rassicurato: «Del partito me ne occuperò dopo le amministrative. Adesso occorre restare uniti e giocare tutti insieme per vincere la prossima sfida elettorale». Partita cruciale che il premier sa di dover affrontare in prima persona. I sondaggi della Ghisleri che il Cavaliere ha sul tavolo da giorni dicono che a Milano l’uscente Moratti viaggia attorno al 50,6% ma che le liste coalizzate che la appoggiano raggiungono un più ottimistico 52%. Vittoria ma non trionfo. Determinanti, a questo punto, sarebbero due fattori: il primo è un intervento diretto in campagna elettorale; in pratica si tratterebbe di fare come per la Polverini che l’anno scorso riuscì a vincere nonostante l’handicap della lista esclusa. Il secondo fattore è far di tutto affinché si mobiliti la Lega. Un appoggio tiepido del Carroccio nella gara di Milano potrebbe infatti essere deleterio e altamente pericoloso anche se gli ambienti leghisti assicurano: «Noi facciamo di tutto, sono quelli del Pdl che sono divisi per bande...».
Poi c’è il referendum abrogativo targato Di Pietro sul legittimo impedimento, in programma a giugno. Più che un nodo sarà il prossimo terreno di scontro con l’opposizione, visto che l’abbandono del nucleare e un annunciato provvedimento sull’acqua disinnesca i quesiti su questi temi. Per la sinistra è un escamotage per tenere gli italiani lontani dalle urne e non far raggiungere il quorum al referendum sul legittimo impedimento. Che sulla giustizia si giocherà la prossima campagna elettorale il Cavaliere lo sa bene.
I numeri in Parlamento però ci sono. Si tratta solo - ecco l’ultimo nodo - di cementarli attraverso le nomine di alcuni sottosegretari.
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