Politica

Libia, Bossi alza il tiro e chiede tempi certi sulla fine della guerra

Il Carroccio chiede una data certa per lo stop alle ostilità. Il Colle rassicura: il dissenso non mette in pericolo il governo. La strategia del presidente del Consiglio: evitare la conta alla Camera. Sulla Padania di oggi la mozione che presenterà la Lega per uscire dal conflitto

Libia, Bossi alza il tiro 
e chiede tempi certi  
sulla fine della guerra

Roma Il Colle rassicura Bossi e lui rilancia. Il capo dello Stato avrebbe fatto intendere al Senatùr che il dissenso leghista sulla Libia non sarebbe letto come una traumatica spaccatura della maggioranza in politica estera. Tradotto: sulla missione s’è già votato e quindi l’escalation è legittima e la sensibilità difforme del Carroccio non comporterebbe l’apertura automatica della crisi di governo. Ecco perché la Lega può alzare tranquillamente la voce. E Bossi la voce la alza eccome. In un comizio a Milano annuncia una mozione della Lega sul caso Libia, dichiara guerra ai francesi sul caso Parmalat, difende a spada tratta Tremonti, chiede lo spostamento di alcuni ministeri a Milano e spinge sul federalismo. Sulla Libia annuncia che «La Lega ha presentato una mozione in cui tra le altre cose si chiede di stabilire la data in cui si terminano le ostilità». Una mozione anticipata alla Padania, che poi in una nota svela come ci siano «sei dettagliati impegni che il governo dovrà far propri», tra i quali quelli di non alzare le tasse per finanziare la missione, di «escludere per il futuro qualunque nostra partecipazione ad azioni di terra sul suolo libico» e di «promuovere il reale concorso di tutti i Paesi alleati rispetto alle ondate migratorie».
Sul caso Parmalat riapre la partita: «Non so se riusciranno a portacela via - assicura -. Avevamo fatto una legge per impedire che ci portassero via le imprese strategiche ma i francesi sono arrivati prima».
Un Bossi scatenato che però frena sull’ipotesi di una crisi di governo. «Va pian», risponde in dialetto a un militante che gli chiede di abbandonare Berlusconi. Tuttavia un messaggio acido al Cavaliere lo manda eccome: «Se noi diamo la parola la manteniamo. Berlusconi in consiglio dei ministri aveva detto “La guerra non si fa”. Poi è andato a Parigi e si è messo a picchiare i pugni sul tavolo». La linea rimane quella ribadita da Maroni: «Sono iniziati i bombardamenti e sono arrivati 800 profughi. Bombe uguale clandestini».
Il Carroccio, in ogni caso, ora è in una posizione di forza e va all’incasso alzando il prezzo. Il metodo è quello svelato al momento della critica del vertice italo-francese: «Se si dice sempre di sì non si ottiene mai nulla». E adesso il Carroccio, che ha detto un «no» enorme ai raid aerei, chiede. Pretende. Ma cosa reclama l’Umberto?
Prima di tutto che finiscano gli attacchi al ministro dell’Economia. Anche ieri Bossi ha ribadito: «Senza di lui saremmo come la Grecia». Il ministro dell’Economia è considerato una ruota fondamentale del Carroccio e i leghisti mal sopportano i malumori degli altri ministri pidiellini che lamentano la stretta tremontiana alle spese dei dicasteri. E ancora: «Giulio non si tocca», hanno sempre ripetuto dalle parti di via Bellerio esaltando la politica del rigore dell’ex commercialista di Sondrio. Il quale, in futuro, sarà oggetto del pressing dei tanti uomini del Sud che compongono la truppa dei Responsabili. Ed ecco l’altra richiesta leghista: frenare l’assalto alla diligenza da parte dei sudisti. E poi: già che siamo in tema di rimpasto, perché non infilare anche uno dei nostri in una delle caselle vuote? Un nome ci sarebbe già: quel Marco Reguzzoni, capogruppo a Montecitorio, inviso ai colonnelli Maroni e Calderoli ma anche a tanti deputati. Per cui riuscire a dirottarlo in un ministero come viceministro o come sottosegretario vorrebbe dire prendere due piccioni con una fava. Al posto di Reguzzoni ci sarebbe già pronto il sostituto: Giacomo Stucchi.
Altra richiesta del Carroccio riguarda Milano. Appoggio alla Moratti ma «questa volta ti controlliamo perché avrai più soldi grazie al federalismo». Federalismo che, dice Bossi, «cambierà il Paese e a giorni arriverà la firma del capo dello Stato». Il Senatùr vorrebbe come vice di Letizia il suo uomo di punta meneghino: Matteo Salvini. Il che vuol dire scalzare lo storico vicesindaco ex An Riccardo De Corato. E in futuro lo scontro potrebbe giocarsi anche sui consigli d’amministrazione delle partecipate come l’Atm, azienda trasporti milanese e l’Amsa, azienda municipale smaltimento rifiuti.
Ultima pretesa è il sogno mai tramontato del Carroccio: quello di spostare Consob e alcuni ministeri da Roma a Milano. Anche ieri Bossi l’ha buttata là: «Non tutti i dicasteri rimangano nella Capitale».

Non solo: il Carroccio tornerebbe a sventolare le proprie bandiere della regionalizzazione dell’Anas e del Coni.

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