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La Libia condanna la Svizzera all’embargo

MICCIA All’origine dello scontro il bando imposto ai minareti in territorio elvetico

Ancora una volta apparentemente sul punto di ricucire e trovare una soluzione alla crisi con la Svizzera, la Libia del colonnello Muammar Gheddafi sbaraglia le carte e mette invece il mondo di fronte a un’escalation di tensione del tutto inattesa a giudicare dagli sviluppi delle ultime ore. «Embargo economico e commerciale totale» con la Confederazione elvetica: così Tripoli fa sparare al portavoce del governo, Mohamed Baayou, l’ultima cartuccia nella guerra diplomatica con Berna. La Libia ha deciso di «adottare altre alternative quanto ai medicinali e alle attrezzature mediche e industriali svizzere finora importate». Dietrofront totale rispetto alle dichiarazioni che in giornata erano arrivate dal ministro degli Esteri, Mousa Kousa, che poche ore prima aveva confermato la concreta possibilità che la rottura tra i due Paesi fosse sanata. Certo i toni, anche di fronte al messaggio ottimista, non erano stati per nulla concilianti. «Siamo vicini a una soluzione - aveva detto il capo della diplomazia di Tripoli -, malgrado la Svizzera abbia la grande responsabilità di non aver finora attuato quanto pattuito fra i nostri due Paesi per risolverla». Invece è arrivata la rottura.
Se il fronte svizzero resta aperto, nonostante siano passati ormai due anni dalla scintilla che ha innescato lo scontro - l’arresto degli figlio del Colonnello Gheddafi, Hannibal, e della moglie per maltrattamenti contro due domestici tunisini in un hotel di Ginevra - e a pochi giorni dall’appello alla jihad contro la Svizzera lanciato per protestare contro il referendum che ha detto no alla nascita di nuovi minareti nel Paese europeo, Tripoli ha aperto ieri un altro fronte. La Libia ha protestato ufficialmente con gli Stati Uniti per i commenti ironici di un portavoce del Dipartimento di Stato americano sulla chiamata alla «guerra santa» lanciata da Gheddafi. Il ministero degli Esteri libico ha convocato l’incaricato d’affari dell’ambasciata americana a Tripoli per chiedere in maniera perentoria «spiegazioni e scuse» da parte di Washington e intimare «ripercussioni negative sulle relazioni economiche e politiche tra i due Paesi se non saranno prese misure». Sotto accusa le parole del portavoce americano Philip Crowley, che ha paragonato l’appello alla jihad del colonello al discorso fiume tenuto lo scorso settembre all’Onu dal leader libico. «Ho saputo - aveva detto Crowley - e mi è tornato in mente quel giorno di settembre, una delle riunioni più memorabili dell’Assemblea generale: molte parole, un sacco di carta che volava, ma non necessariamente molto senso».
La minaccia agli Stati Uniti e l’embargo commerciale annunciato ieri nei confronti di Berna sono il segno della forza che - al di là dei messaggi provocatori del colonnello - la Libia continua ad avere sul piano economico. L’annuncio di ieri chiude definitivamente gli scambi tra i due Paesi dopo i due anni e mezzo di relazioni infuocate seguite all’arresto di Hannibal. Tre mesi dopo il fermo del figlio di Gheddafi, Tripoli ha infatti deciso il ritiro di tutti i depositi libici dalle banche svizzere (5 miliardi di euro), la sospensione delle forniture di petrolio e di ogni forma di cooperazione economica e l’espulsione di tutte le imprese elvetiche.

Ma a disturbare più di tutto Gheddafi è quella «lista nera» di 188 libici «non graditi» stilata dalla Svizzera e che contempla il Colonnello in persona e la famiglia.

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