Libia, il treno di Gheddafi: forse è in Algeria

Dal sud della Libia non è difficile raggiungere una linea ferroviaria nel deserto del Paese confinante. Il rumore del treno un possibile trucco per depistare. Intanto il figlio Saadi dal Niger assicura: "Sono in missione umanitaria"

Libia, il treno di Gheddafi: forse è in Algeria

L’inconfondibile rumore di un treno nel sottofondo di un messaggio audio di Muammar Gheddafi, reso noto da Il Giornale, apre nuove piste sul destino del Colonnello. Forse, ma è solo un’ipotesi, sarebbe fuggito attraverso l’Algeria dotata di una buona rete ferroviaria. In Libia non circolano treni dal 1965. Il messaggio con il rumore sospetto porta la data del 24 agosto. Il Colonnello lo ha registrato mentre Tripoli cadeva nelle mani dei ribelli sostenendo di essere nella capitale. Se il rumore del treno non è una manipolazione il ricercato numero era fuori dai confini nazionali. In una nazione vicina, perchè fino a pochi giorni prima la Casa Bianca aveva confermato la presenza di Gheddafi in Libia. Dei Paesi confinanti, il Ciad ed il Niger non hanno di fatto linee ferroviarie. I treni viaggiano solo in Sudan ed Algeria. Il governo sudanese, però, non amava molto il Colonnello e ha già riconosciuto i ribelli, a differenza dell’Algeria.
Gli algerini hanno dato ospitalità alla moglie e alla figlia di Gheddafi. Non solo: Sebha è una delle ultime roccaforti, in mezzo al deserto, dove era stato segnalato il Colonnello. A sud ovest dalla città c'è il wadi Maghidet, che si espande dalla Libia alla catena montagnosa del Tessili, in Algeria. Una comoda pista porta oltre confine, dove si può raggiungere la rete ferroviaria e viaggiare indisturbati. «Potrebbe aver preso un treno solo per lui, o in incognito per spostarsi in Algeria. Oppure essere stato vicino alla ferrovia, mentre registrava il messaggio, per poi decidere di raggiungere in sicurezza il Niger. Il percorso diretto dalla Libia risultava più pericoloso perchè i ribelli hanno preso il controllo di alcune zone di confine» spiega al Giornale il contatto libico che per primo si è accorto del rumore sospetto nel messaggio di Gheddafi.
In Niger c’è già Saadi, il terzogenito del Colonnello, che sostiene di essere «in missione umanitaria» per i profughi delle tribù libiche fuggite nel Paese africano temendo la rappresaglia dei ribelli. Lunedì, nella capitale del Niger, sono arrivati tre generali dell'ex regime libico. Fra questi spicca Al Rifi Ali al Sharif, capo dell'aviazione, uno degli esecutori più spietati degli ordini di Gheddafi.
«Diversi leader chiave del regime hanno abbandonato il Paese, ma non sappiamo se Gheddafi abbia lasciato la Libia», ha ribadito ieri Roland Lavoie, colonnello della Nato.
Il Raìs ha assoldato diversi contractor, anche inglesi, esperti di comunicazione, intelligence e informatica. «Non è escluso che abbia volutamente inserito nel suo messaggio audio il rumore di un treno per depistare - spiega una fonte dell’Alleanza -. Con l’obiettivo di far allentare la caccia in Libia». Un altro militare, invece, sostiene che «è come la storia di Osama bin Laden a Tora Bora. Doveva essere nascosto nelle caverne ed invece aveva già trovato rifugio nel vicino Pakistan».
Il Colonnello è un personaggio altrettanto ingombrante, anche se solo 21 paesi africani su 54 hanno riconosciuto il governo dei ribelli. Può contare su alleati di ferro come Robert Mugabe nello Zimbabwe, ma pure su investimenti che gli permetterebbero un esilio dorato in Togo, Guinea Bissau e altri Paesi del Continente Nero.
Nel frattempo sui ribelli libici piombano le accuse di «crimini di guerra» di Amnesty international, che chiede di fermare «arresti arbitrari e rappresaglie» contro gli uomini di Gheddafi. «I combattenti dell'opposizione hanno rapito e torturato gli ex membri delle forze di sicurezza», denuncia l’organizzazione.
Nella città «martire» di Misurata i ribelli avrebbero passato per le armi 85 mercenari, che combattevano per Gheddafi. Secondo la stampa di Belgrado e Zagabria, 12 erano serbi, 11 ucraini, 9 croati, oltre ad una decina di colombiani.

Una volta catturati venivano giustiziati con un colpo alla nuca. Abdelaziz Madini, comandante dei ribelli, ha dichiarato: «Quelli che sono stati uccisi non erano soldati, ma gente venuta in Libia ad ammazzare per soldi».
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