Prima della Scala

Il librettista di "Attila"? Anche lui un barbaro

Solera picchiò un giornalista e in una sera spese tutti i soldi guadagnati con un'opera

Il librettista di "Attila"? Anche lui un barbaro

Temistocle Solera, autore del libretto di «Attila», e soprattutto dei celebri versi dei due più famosi cori di Verdi, «Va' pensiero» nel «Nabucco» e «Oh Signore, dal tetto natio» nei «Lombardi alla prima crociata» era un uomo fisicamente imponente: statura colossale, collo taurino, crapa enorme. Sulla sua forza erculea giravano a Milano leggende, come quella che narrava di uno sfortunato giornalista che lo aveva stroncato, il quale si vide sollevato da terra con una sola mano tesa e messo in ridicolo in Galleria De Cristoforis. Altre leggende diffuse dagli amici della Scapigliatura milanese riguardavano la sua prodigalità pare che avesse dilapidato in una sola notte le seicento lire che l'editore Ricordi gli aveva dato per le correzioni apportate alla prima opera di Verdi, «Oberto», solo per il gusto di sperimentarsi ricco per una sera. Anche lo scrittore Carlo Dossi in una delle sue «Note azzurre» traccia un indimenticabile ritratto della sua vita avventurosa, passata «nonostante grandissimi guadagni in perpetuo indebitamento». Quando tornò dalla Spagna felice di saldare i debiti pregressi: «Comprò una casa e l'addobbò riccamente. Credeva di aver tutto pagato. Invece il suo ragioniere s'era ingoiato ogni danaro. Pur tuttavia Solera non fece querela al ladro e si lasciò mettere all'asta la casa». Proprio le gesta in Spagna furono motivo della rottura con Verdi. Per andare nella penisola iberica a cercare scritture per sé (Solera era stato anche compositore di opere che ebbero solo due repliche) e per la moglie Teresa Rosmini, il poeta-musicista aveva abbandonato il libretto di «Attila»: per finirlo Verdi dovette ricorrere all'aiuto del fedele Piave. Ma Solera chiese di rivedere le modifiche e le criticò pomposamente. Verdi non dimenticò quell'atteggiamento borioso ed evitò di musicare qualunque altra proposta che il poeta gli fece quando si trovava in bolletta (e gli aiuti, pochi, preferì inviarglieli in forma anonima). Secondo il Dossi, «ne' suoi libretti collaborò più volte anche Pier Ambrogio Curti (avvocato-letterario, patriota e poi deputato al primo parlamento unitario) a titolo di amicizia poiché Solera, pigliava facilmente impegni letterari, poi pigro, come ogni buon letterato, non trovava mai tempo né volontà di adempirli».

In Spagna Solera aveva conosciuto momenti di fortuna incredibile. A Madrid difese in pubblico l'onore della regina Isabel II da un ufficiale che ne sparlava in teatro. La sovrana avvertita del gesto cavalleresco rimase molto colpita, tanto che fu decorato «Caballero» dell'Ordine di Carlo III e gli fu affidata la gestione della stagione operistica di Madrid (dove fece comunque un buco enorme). Negli ambienti letterari milanesi il Solera (o forse il suo amico scrittore Giuseppe Rovani) alimentò la leggenda di una sua relazione con la regina, che il Dossi poi riferì senza veli: «Era al pianoforte in una sala del palazzo reale, quando Isabella gli si pose a un tratto vicino e gli cacciò le lussuriose mani nella toppa dei calzoni. Solera, dopo di ciò, assisteva ai consigli dei Ministri colla regina, la quale, allorché si sentiva assalita pizzicore della libidine congedava frettolosamente i ministri pe rifarsi fottere e buggerare nella stessa aula e sul trono dal Solera».

Negli alti e bassi della sua vita, Solera «alternò spesso gli uffici della poesia con quelli della polizia», passando da agente segreto al servizio di Cavour a energico e capace questore.

Ma Verdi stigmatizzò sempre che non avesse voluto diventare il primo poeta melodrammatico del suo tempo.

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