«Parigi. La bella americana in attesa di divorzio Reggie Lampert (Audrey Hepburn) si ritrova prematuramente vedova. Convocata all’ambasciata degli Usa, apprende dal funzionario Hamilton Bartholomew (Walter Matthau) che il suo Charles, durante la guerra... ».
È l’inizio di «Sciarada», elegante giallorosa firmato da Stanley Donen nel ’63. George Kennedy, una delle vittime nel film, scrive il nome del suo assassino (Dyle, ricordate?) sul vetro appannato della doccia. Appare, scompare, quel nome, a seconda dell’umidità che si forma nel bagno...
Ancora più scontata («Il codice Da Vinci», buon ultimo) è la scena della vittima che scrive col proprio sangue il nome del carnefice. È un classico. Eppure, gli assassini invariabilmente se lo dimenticano. E spesso abbandonano la scena del delitto rimasticando ebbri l’amarognolo di una intuita, scandalosa impunità.
È lo stesso genere di errore, dicono i magistrati di Catania, commesso il 4 dicembre del 1993 da Vincenzo Morici, primario di chirurgia all’ospedale San Vincenzo di Taormina arrestato con l’accusa di aver ucciso con 23 coltellate, quel giorno di oltre 13 anni fa, la moglie Antonella Falcidia, lei pure medico. «Enz» era riuscita a scrivere la donna con l’indice bagnato nel suo sangue su un lembo del divano accanto al quale stava spirando. Ma all’epoca nessuno ci badò. Tre segni sbiaditi, in un mare di sangue. Tre segni incerti che potevano dire, ma che all’epoca rimasero muti.
Tre lettere che si sono rimesse a parlare dopo che un giovane sostituto procuratore, letto un libro e vista una trasmissione in tv col giallista Carlo Lucarelli, ha spinto per la riapertura delle indagini. Quel divano ormai non c’è più. Ma negli archivi della Procura erano rimaste le foto di quel delitto. Ed è stato riesaminando le foto, grazie a uno scanner di nuova generazione, e ai computer dei carabinieri, che sono saltate fuori quelle lettere. Una E, una N, una Z. Enzo, certo: il marito di Antonella Falcidia, si dicono alla fine i magistrati che avevano ristretto il campo delle indagini a cinque nomi. Enzo Morici, il chirurgo al quale la moglie di 44 anni, vecchia compagna di studi universitari che gli aveva dato un figlio all’epoca diciottenne, rimproverava una relazione con un’altra donna. Una lite furibonda, l’ennesima. Uno scoppio d’ira, non un delitto premeditato. Il coltello che taglia l’aria 22 volte. Lei che sembra morta, il marito in cucina che lava l’arma del delitto ed ecco la mano di lei che si protende fino al divano. Una lettera, la seconda, la terza... Quando l’assassino torna sui propri passi non si accorge di nulla. Pensa forse che quella mano tesa sia solo il tentativo, uno sforzo per issarsi in piedi. L’assassino vede solo che la donna è ancora in vita. Rantola. E allora ecco la ventitreesima coltellata, dritta alla giugulare. Netta, precisa, da professionista del bisturi. Un delitto perfetto, sembra. La scena del delitto, sostanzialmente muta. La porta di casa, le finestre, chiuse regolarmente. Nessun segno di effrazione, i gioielli al loro posto. Solo l’impronta di una scarpa.
Nella mano destra della donna, all’epoca, la polizia trova un ciuffo di capelli biondi. Capelli di donna. Ed è quella la direzione che prendono subito le indagini. Cercate una donna, era la parola d’ordine che circolava in quei giorni nei corridoi della Procura catanese. Sotto le spazzole degli inquirenti finirono quindici signore che per un motivo o per l’altro potevano aver voluto male alla dottoressa Falcidia. Oggi si sa che quei capelli erano della morta.
Ma si sa anche che erano montate ad arte le insinuazioni mosse dal marito della vittima contro un povero cingalese, marito della domestica della coppia. Un depistaggio, dicono i giudici. «Quest’uomo è un mentitore - dice il sostituto procuratore Renato Papa, riferendosi al dottor Morici -. l’estate scorsa, quando mi riferì del cingalese, ho avuto l’impressione di una persona fredda e razionale.
Poi, tredici anni dopo, ecco la possibile soluzione della «sciarada». Salvo ulteriori sviluppi. Morici nega tutto: «Sono innocente e lo proverò».
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