L'infinito bisogno di sperare nel miracolo

La fede nei santi è tipica della religione cattolica e degli italiani. Non ci ha mai abbandonato, nemmeno nei secoli di maggiore anticlericalismo. La gente si affida ai loro poteri e prega, soprattutto in epoche di crisi

L'infinito bisogno di sperare nel miracolo

Non voglio certo discutere la fede altrui,foss’anche quella nei mira­coli. Tuttavia è possibile una ri­flessione storica e d’attualità, mentre si celebra - con la beatifi­cazione di Giovanni Paolo II - an­che quella del miracolo da lui compiuto, necessario per salire agli altari. Il miracolo è una credenza non esclusiva, ma tipica, della religio­ne cattolica. E forse, in particola­re, degli italiani. Ha scritto Gio­vanni Miccoli, grande storico del­la Chiesa, in un frase riferita al passato e ancora attuale: «Ci si aspetta qualcosa da tutte le parti, meno che da se stessi.Sarà l’impe­ratore, un re, un “papa angelico”, una curia rinnovata, un interven­to provvidenziale, qualunque co­sa insomma che non coinvolga subito e immediatamente scelte e responsabilità personali e collettive».

Se ciò vale per la generalità degli italiani,anche oggi,basterà notare che l’attesa miracolistica è tipica dei periodi di crisi: della Chiesa o della società. Nel Rinascimento, per esempio, la corruzione ecclesiastica, il papato avignonese, il «grande scisma» avevano fatto degli italiani quel popolo di credenti anticlericali che siamo ancora. Prima della Controriforma, però, le chiese venivano ancora considerate un gioioso punto di incontro e di scambio, quasi di festa. In questaatmosfera religiosa superficiale e folcloristica le profezie e i miracoli abbondavano in ogni angolo d’Italia,ad alimentare credenze popolari che avranno vita lunga, fino ai nostri giorni. Fu un’epoca di frequentissime apparizioni della Madonna, come testimoniano i molti santuari fondati durante il Rinascimento in tutte le regioni. Le numerose visioni miracolose dimostravano un’aumentata richiesta di religiosità alla quale però corrisponde una sfiducia quasi totale nel clero e nelle sue istituzioni.

Per paradosso e contrappasso, il fenomeno si rinnovò durante la Controriforma, quando fra Seicento e Settecento si assistette a un infittirsi di festività e culti, miracoli e rivelazioni, reliquie e soprattutto santi. Anche dopo la Restaurazione, seguita alla Rivoluzione francese, i conservatori si rifugiarono in un rinnovato ossequio alla Chiesa,all’insegna di un moralismo e di un timore del nuovo che poco aveva a che fare con la religione: mese mariano, rosari collettivi, culto del Sacro Cuore. In poche epoche avvennero tanti miracoli come in quegli anni. Secondo la dottrina, in realtà, non sono i santi a compiere il miracolo: loro intercedono presso Dio, che può concederlo o no. Questa non sottile distinzione viene sottaciuta dal clero e sistematicamente ignorata dai fedeli, che chiedono al santo e nel caso lo ringraziano, perché è lui che «fa i miracoli». La Chiesa osteggia pochissimo questa credenza, anzi esige che l’aspirante santo manifesti poteri miracolosi, prima di dichiararlo tale. Quindi, con la canonizzazione, certifica che il santo fa miracoli: una patente che incoraggia i devoti a pregare per riceverne. Di conseguenza i fedeli sono tanto più felici se riescono a individuare, mentre è ancora in vita, un futuro santo «sicuro».

Quando morì padre Pio da Pie-trelcina, alla sua salma sarebbe certamente accaduto quel che accadde quattro secoli fa al cadavere del cardinale Roberto Bellarmino, morto in odore di santità, se le forze dell’ordine e la Chiesa lo avessero consentito come lo consentirono allora. In Vaticano la biancheria del cardinale venne fatta in minuscoli pezzetti e distribuita; i soldati svizzeri, per placare la folla, mettevano mazzi di rosari sulla punta delle alabarde, li strusciavano sulla faccia del cardinale e li davano ai fedeli: si andò avanti così per quattro ore, e sembrò di per sé miracoloso che il viso del morto non si sformasse. Il corpo fu sezionato pubblicamente e i fedeli poterono intingere pezzetti di stoffa nel sangue e avere qualche minuscolo brandello di carne. Ogni fedele sceglie il proprio santo, spesso secondo le necessità del momento, non in base a quello che ha fatto in vita, ma per quanto può fare qui e ora. Vi si fa un ricorso costante, per necessità pratiche che niente hanno a che vedere con la salvezza eterna o la religiosità.

I santi-così-hanno perso l’originaria funzione di esempio per diventare dispensatori di grazie e favori, se non proprio del miracolo eclatante; il figlio un po’ asino può essere aiutato a superare l’esame da san X:non è propriamente un miracolo, ma un bell’aiuto sì. Del resto ogni santo ha una specializzazione, spesso attribuitagli dalla Chiesa stessa, a volte dalla credenza popolare: c’è chi protegge i viaggiatori, chi gli animali, chi gli innamo-rati, chi fa ritrovare gli oggetti perduti e chi fa passare il mal di testa. La casistica è sterminata, non c’è evento della vita che non possa essere affidato a un santo. Questa forma di paganesimo ha il suo sbocco più clamoroso nella religione cattolico- magica dei brasiliani, ma pure moltissimi cattolici italiani - anche senza rendersene conto e senza dare importanza alla cosa- integrano il cattolicesimo con pratiche magiche: il corno e il santino convivono; la fede e la fiducia nell’astrologia o nella reincarnazione non sembrano contraddittorie; chi ha un crocefisso o un’immagine della Madonna sopra la spalliera del letto si guarderà ugualmente dall’appoggiare sul letto un cappello, che porta morte.

La Chiesa ha vinto solo in parte la sua battaglia contro le superstizioni laiche, e altrettanto in parte è riuscita a sostituirle con il culto dei santi: gli italiani sono un popolo di cattolici

pagani che, oggi, dà lavoro abbondante a un numero quasi pari di religiosi e di maghi professionisti, oltre che a poche decine di santi: gli altri vengono ignorati in quanto mediocri produttori di grazie e di miracoli.

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