C’era una volta la deflazione. Dopo la fiaba noir sul calo dei prezzi raccontata fino a qualche mese fa, con corredo di scenari semi-apocalittici, il mondo riscopre invece l’inflazione. Ancora su livelli fisiologici nel mondo occidentale, seppur qualche campanello d’allarme sia già stato fatto risuonare dal numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet; surriscaldata a Oriente (Giappone escluso), dove Cina e India sono da tempo impegnate in una battaglia contro il carovita. Pechino continua a stringere le maglie del credito (lo ha fatto anche ieri) nel tentativo di arginare l’aumento dei prezzi, oltre il 5% e sui massimi da 28 mesi, mentre Nuova Delhi si prepara a un altro rialzo dei tassi per stemperare l’inflazione (sopra l’8%). L’Occidente non può sottovalutare l’evoluzione inflazionistica nel Far East. Per due motivi: un rallentamento della ripresa globale è prevedibile se le misure anti-carovita dovessero impattare sulla crescita economica cinese e indiana; in caso contrario, il rischio è quello di importare inflazione acquistando beni da quei Paesi. In Europa e negli Stati Uniti l’attuale rialzo dei prezzi è già indotto da motivi endogeni, non certo da consumi privati che nella sostanza restano ancora depressi. I listini dei carburanti, con la verde che in Italia ha sfondato il muro degli 1,5 euro il litro, sono in buona misura i responsabili del raddoppio sfiorato nel 2010 dall’inflazione nel nostro Paese (+1,5% il dato medio contro lo 0,8% dell’anno prima, mentre il tendenziale è dell’1,9%). Solo a dicembre i prezzi della benzina sono saliti del 9,9% (6,1% novembre) su base annua e del 2,5% su base mensile; quelli del gasolio sono cresciuti del 14,5% (+10% a novembre) in termini tendenziali e del 3% sul piano congiunturale. L’Adoc ha calcolato che quest’anno il rialzo dei prezzi costerà alle famiglie oltre 900 euro. Ma dall’ondata di rincari non sono immuni nè Eurolandia (+2,2% l’inflazione in dicembre, ai massimi da due anni), nè gli Stati Uniti (+1,5% nel 2010, un valore sopra le attese). Con una differenza: mentre la Fed non è ossessionata dai prezzi (l’idea di adottare un tetto di inflazione è stata più volte bocciata) e Ben Bernanke deve soprattutto garantire il proprio sostegno alla crescita e all’occupazione, la Bce ha nel proprio statuto l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Non a caso, giovedì Trichet ha posto una certa enfasi sulle attuali dinamiche inflazionistiche sottolineando che l’Eurotower «rimane all’erta». E ieri il presidente della Bundesbank, Axel Weber, ha detto che «i rischi a medio termine potrebbero crescere». Il rialzo dei tassi è lo strumento più usato per spegnere le fiammate del carovita. Bernanke ha più volte assicurato che il costo del denaro resterà ancora a lungo su livelli eccezionalmente bassi (ora è tra 0 e 0,25%). I mercati cominciano invece a non escludere la possibilità che Trichet prepari una stretta prima del previsto. Anticipando il futuro cambio di rotta, le banche continuano infatti a collocare bond a costi vantaggiosi. L’ultima in ordine di tempo è stata Intesa SanPaolo, che ieri ha lanciato un’emissione garantita decennale al 5% per 1,5 miliardi destinata all’euromercato.
Per poter rimettere mano alle leve dei tassi, la Bce dovrà però prima veder dissolti i timori legati a un allargamento a Portogallo e Spagna della crisi del debito sovrano. Un eventuale potenziamento del fondo salva- Stati, ipotesi al centro dell’Ecofin di lunedì prossimo, potrebbe essere già di aiuto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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