L'Istat: in Europa Italia ultima per i divorzi, ma in 10 anni è boom

Un Paese spaventato dall'allarme sicurezza, afflitto da problemi economici e incapace a investire nei giovani. L'Istat traccia una fotografia del Bel Paese preoccupante. Cresce il reddito pro capite

L'Istat: in Europa Italia ultima 
per i divorzi, ma in 10 anni è boom

Roma - Un'Italia spaventata dall'emergenza sicurezza, con diversi problemi economici e che non investe nel futuro dei giovani. E' questa la fotografia del Bel Paese tracciata dai dati contenuti nella prima edizione del volume "100 statistiche per il Paese. Indicatori per conoscere e valutare", presentato questa mattina dall’Istat.

Italia ultima in Europa per divorzi L’Italia è il paese europeo in cui si divorzia meno, ad esclusione di Malta, dove dire addio al proprio coniuge addirittura non è legale. Dati alla mano, in Italia solo 8 persone ogni 10.000 vanno dal giudice per rompere il loro matrimonio. Sono il doppio in Spagna ed il triplo in Germania. A guidare la classifica europea la Lituania con oltre 30 divorzi ogni 10.000 abitanti. Se si guarda il dato assoluto però si scopre che in Italia, in 10 anni, i divorzi sono aumentati del 74% e negli ultimi cinque del 17,4%. Le regioni italiane in cui ci si lascia di più sono la Liguria, che nel 2005 ha fatto registrare oltre 20 divorzi ogni 10.000 abitanti, il Lazio (19,6) e il Piemonte (18,4). All’ultimo posto la Calabria, con 7 divorzi. Se sono pochi in Italia i matrimoni che finiscono, sono pochi però anche quelli che cominciano: solo in Slovenia e in Lussemburgo ci si sposa meno che nel Belpaese. Il tasso di nuzialità è stato infatti nel 2006 di 4,1 matrimoni ogni 1.000 abitanti contro una media Ue di 4,9. Inoltre tra il 2001 e il 2006 il numero complessivo di unioni ha subito un calo del 7,8%. Ma il discorso cambia se si considerano solo le cerimonie celebrate con il rito civile: in questo caso, nei cinque anni, c’è stato un aumento del 14%.

Cresce il pil pro capite Nel 2007 il prodotto interno lordo per abitante italiano è cresciuto dell’1,5% rispetto all’anno precedente. Dal 2000 l’Italia sperimenta un tasso di crescita più modesto di quello medio dell’Ue. Allineata alla media Ue la composizione della domanda aggregata (consumi-investimenti). I consumi 2006 sono l’80,7% del pil, gli investimenti ammontano al 21,1%. Nel 2006 l’Italia è stato il Paese con il rapporto debito/pil più elevato (106,8%) nell’Ue-27. Il valore scende nel 2007 al 104%. L’Italia, viene sottolineato, è dunque ancora lontana dal raggiungere l’obiettivo di Maastricht di contenere il rapporto debito/pil al di sotto del 60%, anche se il valore è appunto il decrescita nel 2007. L’incidenza dello stock del debito pubblico ha toccato il massimo del 121,5% nel 1994, diminuendo fino al 103,8% nel 2004. Sul fronte del saldo primario, il Paese mostra un ’netto recuperò. Nel 2007, sottolinea l’Istat, soprattutto grazie a un cospicuo aumento delle entrate, l’Italia si colloca al quarto posto tra i paesi dell’Unione economica e monetaria per surplus primario, mentre l’incidenza dell’indebitamento netto in un biennio (2005-2007) diminuisce da 4,2 sino all’1,9% del pil.

Gap tra nord e sud del Paese Il gap tra il Nord ed il Sud d’Italia non accenna a colmarsi: secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat, dal 2000 in poi l’enorme divario che separa le regioni Meridionali da quelle Centro-Settentrionali è rimasto pressochè invariato. Se, nel 2000, la differenza tra il Pil pro capite tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud era di 10.856 euro l’anno, nel 2006 è di 10.612 euro. In sei anni, dunque, le distanze si accorciano di appena 2,25 punti percentuali. Più nel dettaglio, nel 2006, a fronte di una media italiana di 21.307 euro l’anno, nel Centro Nord si registra un pil pro capite di 25.026 (24.819 nel 2000) mentre nel Mezzogiorno ciascuno produce una ricchezza pari a 14.414 euro l’anno (13.963 nel 2000). Rispetto alla media europea, nell’arco di tempo considerato, l’Italia ha registrato un tasso di crescita più modesto. Nel 2000 il pil pro capite italiano si collocava al di sopra della media dei Pesi dell’Europa a 15 e della Francia. Tuttavia la crescita economica sperimentata dal nostro Paese, la più bassa d’Europa, ha comportato che nel 2006 l’Italia si trovi sotto la media Ue15 e anche di quella Ue25, posizione condivisa da Portogallo e Grecia, che però erano sotto della media Ue anche nel 2000.

Occupazione, cresce il davario Nel 2007 in Italia è occupato il 58,7% della popolazione nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni. Permangono però notevoli le differenze di genere: le donne occupate sono il 46,6%, gli uomini il 70,7. Il tasso di occupazione, rileva ancora l’Istat, è cresciuto nel 2007 di 0,3 punti percentuali, ma, nonostante la tendenza all’incremento, i livelli dell’occupazione nazionale restano distanti dai traguardi fissati a Lisbona e ben al di sotto delle medie europee, soprattutto per quando riguarda la componente femminile. Nel 2007 il tasso di occupazione della popolazione in età 55-64 anni è pari al 33,8%; già nel 2006 l’Italia si collocava tra ultime posizioni della graduatoria europea. Il nostro Paese è, inoltre, tra quelli che presentano il più ampio divario tra il tasso di occupazione di questo segmento specifico di popolazione e quello delle fasce di età centrali a conferma del fatto che il nostro mercato del lavoro si caratterizza per la marginalizzazione di alcuni segmenti della popolazione. Nel 2006 il tasso di attività della popolazione tra i 15 e i 64 anni nell’Unione europea è pari al 70,2%. L’Italia, con il 62,7% e con valori in calo nel 2007 (62,5%), si colloca al terzultimo posto della graduatoria a 27 paesi. Risultano determinanti le disparità di genere (nel 2007 il tasso di attività maschile è pari al 74,4%, quello femminile al 50,7%) e quelle territoriali (il valore massimo si registra in Emilia-Romagna con un tasso del 72,4%, il più basso in Campania con il 49,3%). In Italia il tasso di disoccupazione è diminuito nel corso del decennio 1998-2007 di 5,3 punti percentuali, attestandosi a fine periodo al 6,1%; già nel 2006 era di circa 1 punto percentuale e mezzo inferiore a quello medio dei paesi Ue27. Permangono le differenze di genere (tasso di disoccupazione femminile pari al 7,9 a fronte del 4,9 degli uomini) e territoriali (Mezzogiorno 11%). Sempre nel 2007 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è pari al 20,3% (di circa 14 punti superiore al tasso totale di disoccupazione). Le differenze di genere si mantengono rilevanti: il tasso di disoccupazione giovanile delle donne italiane (23%) supera quello maschile di oltre 5 punti percentuali. Il confronto europeo conferma la gravità del problema. Nello stesso anno la disoccupazione di lunga durata (che perdura cioè da oltre 12 mesi) riguarda nel 2007 il 47,4 dei disoccupati nazionali; valori ancora superiori alla media Ue ma in netto miglioramento rispetto all’anno precedente. Nel 2005 in Italia la quota di unità di lavoro irregolari raggiunge il 12,1% con notevoli differenze territoriali: nel Mezzogiorno quasi un lavoratore su cinque può essere considerato irregolare, mentre al Centro-Nord soltanto uno su dieci. In particolare, la Lombardia è la regione con la quota di lavoro irregolare più bassa (7,8%), la Calabria quella con la quota più alta (26,9%).

Cala la dimensione media delle imprese Tra il 2001 e il 2005, infatti, molti paesi dell’est Europa registrano cali notevoli nelle dimensioni medie. Così pure la Francia, la Svezia e il Portogallo, che scendono rispettivamente a 6 a 5 e a 4 addetti medi per impresa. Tale riduzione, rileva l’Istat, è, dunque, generalizzato e si registra in misura inferiore anche in altri paesi europei. La media dei paesi Ue 15 scende da 7,2 a 6,6 addetti per impresa. In Italia, come in Spagna e in Bulgaria, si registra invece un aumento, approssimando, nel caso nazionale, 4 addetti per impresa e superando, negli altri paesi, rispettivamente 5 e 7 addetti.Se si esclude la Slovacchia, dove resistono le grosse realtà produttive retaggio delle economie socialiste, le imprese della Germania e del Regno Unito impiegano mediamente il più alto numero di addetti: circa 12. Nonostante un discreto aumento, la dimensione delle imprese del Mezzogiorno resta solo il livello dei 3 addetti per impresa, mentre nelle altre ripartizioni si supera il dato medio nazionale. In Lombardia (5 addetti in media) e nel Lazio (4,5) si rilevano i dati più elevati a livello nazionale. Toscana, Liguria e Valle d’Aosta sono, tra le regioni del Centro-Nord, quelle caratterizzate da dimensioni medie più basse (3,4 addetti).

Nel Sud e nelle isole solo in Basilicata e Sardegna, dove sono presenti le imprese di dimensioni maggiori, legate al comparto della grande manifattura, si raggiungono 13 addetti in media. Se si guarda alla variazione rispetto al 2001 la Sicilia, la Calabria e la Campania fanno registrare incrementi superiori al 10%.

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