Non occorrono reportage, appostamenti o telecamere nascoste per richiamare lattenzione sui preoccupanti tempi di attesa, in alcuni casi superiori ai sei mesi, che i cittadini del Lazio devono sopportare prima di avere accesso a una lunga serie di esami negli ospedali pubblici. Un elemento forse meno noto, ma certamente ancora più grave, è che la Regione non si è mossa di un millimetro per invertire questa infelice tendenza, nonostante fosse tenuta a farlo in virtù di unintesa siglata quasi un anno fa con il precedente governo.
La denuncia arriva da Cesare Cursi, fino allaprile scorso sottosegretario al ministero della Salute e oggi vicepresidente della Commissione Sanità del Senato: «Il 28 marzo del 2006 - ricorda lesponente di Alleanza Nazionale - fu firmato un accordo che individuava una serie di strumenti utili ad abbattere una volta per tutte le liste dattesa. In particolare, entro e non oltre il primo luglio dello stesso anno, si dava la possibilità a ciascuna regione di definire per un certo numero di esami i tempi massimi che gli utenti avrebbero dovuto sostenere». In questottica, già con la Finanziaria del 2005, erano stati demandati ai direttori generali delle Asl una serie di poteri speciali, in modo che fosse garantito nella pratica il rispetto di quelle scadenze. Così, se per una qualsiasi ragione unazienda sanitaria locale non fosse stata in grado di tenere fede agli impegni presi, lutente aveva la facoltà di rivolgersi a una struttura pubblica vicina o, qualora lo ritenesse opportuno, a un ente privato accreditato e convenzionato. In questo secondo caso si aveva facoltà di richiedere un pieno rimborso delle spese sostenute.
«In sostanza - fa notare Cursi - non si trattava più di unopzione a favore del cittadino, perché la norma fissata in Finanziaria stabiliva un vero e proprio diritto per il paziente e un conseguente dovere del direttore generale della Asl al rispetto dei tempi massimi di attesa». Teoria e pratica, però, non sempre procedono su percorsi paralleli e in questo senso il caso del Lazio è emblematico, visto che la Regione non ha nemmeno avviato liter per definire quali esami possano essere inclusi nella categoria cosiddetta protetta. Per questo motivo chiunque per urgenza non ha potuto attendere le lungaggini tipiche di una struttura pubblica ed è stato costretto a pagare gli esami di tasca propria, non potrà ottenere alcun indennizzo, nonostante esista una norma che in teoria glielo dovrebbe garantire.
E intanto le liste crescono senza sosta: per una risonanza magnetica, una tac con contrasto o unecografia occorre aspettare da un mese a sei mesi, mentre in alcuni casi i computer sono talmente carichi di richieste che non possono accettare ulteriori prenotazioni. E i dati non sono supposti, ma provengono dalla fonte più ufficiale di tutte, il Recup, il centro unico di prenotazione delle prestazioni sanitarie della Regione Lazio.
«Il ministro Turco - sottolinea Cursi - ha dichiarato che è stato predisposto solo ora un tavolo tecnico per contenere su scala nazionale le liste dattesa, definendo per quali esami vada fissato un tempo massimo. Le Regioni dovranno presentare i loro progetti entro il prossimo 31 gennaio e i successivi piani aziendali entro il 28 febbraio.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.