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L'Italia dell'odio, ecco chi sono i fomentatori: c'è un patto no global-Sel dietro gli scontri

Spunta una ipotesi: le violenze al corteo degli indignati sarebbero nate come rivolta alle presunte candidature offerte da Vendola agli antagonisti. Ma il partito smentisce. Il corteo avrebbe rinunciato a marciare sui palazzi del potere

L'Italia dell'odio, ecco chi sono i fomentatori: 
c'è un patto no global-Sel dietro gli scontri

Roma - Le violenze di sabato a Roma? Frutto dell’indignazione di una fazione degli italici indignati. Non verso lo Stato, non verso le banche, non verso il «sistema». Bensì verso la parte «pacifica» del corteo. Rea, secondo gli incappucciati, di aver stretto un «patto» elettorale più o meno occulto con Sinistra ecologia e libertà, il partito di Nichi Vendola. La lettura «politica» degli scontri, a lungo rimbalzata in rete, è stata rilanciata ieri dal Corriere della Sera: una parte del movimento antagonista avrebbe accettato senza protestare di marciare lontano dai palazzi del potere in cambio di una manciata di seggi alle prossime elezioni, sotto le insegne di Sel. Candidati in pectore in forza del presunto patto sarebbero, secondo siti e indiscrezioni, l’ex disobbediente Luca Casarini e l’antagonista romano Francesco Raparelli. Verità o fantasia?

Il partito del governatore pugliese smentisce, o meglio precisa, a stretto giro di posta, affidando a Nicola Fratoianni, assessore vendoliano e componente della segreteria nazionale di Sel, la replica. «Il nostro unico patto è quello siglato con le centinaia di migliaia di persone di cui siamo stati parte, che hanno manifestato pacificamente la loro indignazione a Roma contro la crisi e le politiche che l’hanno generata», spiega l’esponente di Sinistra e libertà, aggiungendo di «lavorare per il cambiamento» e di essere interessato a «discutere con chi lo vuole costruire». Ma negando l’esistenza di un patto elettorale.

Di certo, alla luce del teorema dei due «blocchi», le parole pronunciate a caldo dal leader di Sel, Vendola, a Rainews24, potrebbero suonare ambigue: «I black bloc avevano un obiettivo politico, togliere la parola agli indignati, prendersi la scena». E, ben prima del giorno del corteo del 15 ottobre, su Indymedia già circolavano messaggi sull’«uso politico» del corteo. È del 16 settembre il sarcastico commento al «call», la convocazione all’assemblea romana «preparatoria» del corteo del 15: «Questo è il call d’un carrozzone che con la spontaneità degli indignati e il loro rifiuto dei partiti non ha niente a che fare (collusione con Sel su tutti i livelli nevvero?)».

Il bis arriva il 25 settembre, all’indomani di quell’assemblea, con un messaggio sul «tentativo del centrosinistra di traghettare una parte del movimento contro la crisi verso sponde istituzionali più o meno “sinistre” in vista delle prossime elezioni». Tentativo che, per l’autore del post, si era esplicitato nel corso di quell’incontro che «doveva essere preparatorio alla grande manifestazione del 15», ma «si è rivelato una trappola elettorale».

Illuminante, visto come poi sono andate le cose, la conclusione: «Cari studenti, precari e disoccupati, il 15 ottobre siate delicati con le vetrine e con i blindati, fatelo per De Magistris e Vendola, se non per Bersani, nostra unica speranza (alternativa?) per un altro mondo possibile!».

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