Liti, correnti e gelosie: Fli è già una piccola An In Futuro e libertà troppe anime e aspirazioni diverse: scontri sul futuro leader del Pdl, su possibili alleanze anche con il Pd e sulla giustizia. Bocchino tra i più detestati, la star Rossi dà fast

RomaLa galassia finiana è un ammasso di stelle che ogni giorno entra in rotta di collisione. L’implosione è dietro l’angolo e se ancora non è avvenuta è perché regge la forza di gravità del leader Fini. Per ora. La verità è che il Fli nasce con un peccato originale: c’è chi ha seguito Gianfranco con convinzione, chi per un debito di riconoscenza, chi per convenienza, chi per lealtà, chi per affetto e chi perché «Fini, in fondo, è solo il meno peggio». La classica divisione tra falchi e colombe è riduttiva. Meglio parlare di cani e gatti, condannati a graffiarsi e mordersi nel piccolo recinto fillino. L’astio reciproco tra Menia e Bocchino, per esempio, è noto: ruggini personali che si aggiungono a divergenze tutte politiche. L’autoproclamatosi ventriloquo di Fini, Bocchino, tira in ballo Montezemolo come «possibile leader del vero centrodestra»? Nel giro di un minuto arriva il piccato altolà di Menia, Moffa e Viespoli: «E perché non Fernando Alonso? Almeno lui di vittorie se ne intende». La terza via è di Ronchi: «Se vuole, Montezemolo si aggreghi: ma il leader lo farà Gianfranco». Bocchino auspica un vertice di maggioranza per stilare un documento condiviso sui 5 punti del programma di governo? La bacchettata arriva dal senatore Baldassarri: «Esternazioni che lasciano perplessi. Prima di parlare a nome del gruppo si dovrebbe sentire il gruppo». Fine agosto: sempre Bocchino lancia l’ipotesi di una nuova coalizione formata da Api, Udc e moderati del Pd. Questa volta è Consolo a saltare sulla sedia: «Fantapolitica. Non mi ci vedo proprio ad appoggiare Fassino, Veltroni e Bersani, tanto per fare tre nomi a caso dei nostri presunti, futuri alleati».
Ma è ancor prima dello strappo tra Berlusconi e Fini, avvenuto a fine aprile, che le diverse anime dei finiani sono emerse in tutta la loro evidenza. Appena nata Generazione Italia, vero e proprio partito bocchiniano, Menia ha fondato la sua Area nazionale: «Per dare un punto di riferimento a chi si sente disorientato dalle ultime divisioni nel Pdl e che non si riconosce nelle posizioni di Generazione Italia». Più chiaro di così. Bocchino, senza dubbio scaltro e capace, è detestato da molti nel suo gruppo e c’è chi oggi ricorda con perfido piacere la lavata di capo che Italo subì dal senatore Pontone in una sezione campana. Pontone, per tutti un gran signore, vecchio missino di scuola e cultura almirantiana, non ha mai sopportato il fare da guappo dell’ex portaborse di Tatarella. E come Pontone la pensa anche l’ottantenne Lamorte che ha seguito Gianfranco perché da lui considerato un «figlioccio». Lamorte, ad esempio, per dirla alla Di Pietro con Granata non c’azzecca nulla.
Già, Granata: squatter finiano, scheggia impazzita che con le sue bordate dipietresche e antiberlusconiane ha mandato su tutte le furie persino il capo. Soltanto lui è riuscito ad essere sconfessato anche da un altro «falco» come Carmelo Briguglio per aver sbeffeggiato Souad Sbai, colpevole di essere tornata all’ovile pidiellino. E sempre lui è stato strigliato dallo stesso Fini per aver votato contro la fiducia del governo, minando l’ordine di scuderia: «Fabio, in parte hai rovinato una bella vittoria!». Ma al di là dell’episodio, il feroce giustizialismo di Granata e della collega Angela Napoli, altra finiana che venera le manette, fa venire l’orticaria a molti futuristi. Uno su tutti Benedetto Della Vedova: ex radicale, mai stato né neo, né pseudo, né post fascista ma neanche missino o aennino. Si definisce riformista, liberale, liberista e libertario e, sulla giustizia, proprio non ci sta ad applaudire sempre e per forza le toghe. Anzi, dal suo Libertiamo punge spesso le procure, chiede la riforma del Csm, la responsabilità civile dei magistrati, dichiara di essere «agli antipodi dell’antimafia spiccia e sociologica e dello spatuzzismo».
Insomma, la zattera finiana non ha ancora mollato gli ormeggi che rischia di essere sballottata dalle correnti. Perché adesso anche Adolfo Urso, deus ex machina della fondazione FareFuturo, inizia a guardare in cagnesco i fratelli di Generazione Italia, avamposto bocchiniano che sta costruendo le casematte finiane sul territorio. E sarà proprio Urso, in qualità di coordinatore nazionale del Fli, a tenere sott’occhio l’«acerrimo amico». Un caos. Alimentato dai tanti riflettori accesi su finiani e finismo. Fari che creano mostri, danno alla testa, suscitano gelosie e diffidenze. Altro esempio? Oggi la neo star mediatica Filippo Rossi inizia a dar fastidio. Non soltanto a molti parlamentari che non ne condividono i toni da Gian Burrasca e le provocazioni cheguevaresche, ma anche ad altri personaggi d’area.

In primis Alessandro Campi, ideologo del finismo, noioso e cattedratico intellettuale che, solitario, non rinuncia a dire la sua. E a smarcarsi: «Fini? Dovrebbe dimettersi da presidente della Camera. Il nuovo partito? Dovrà essere berlusconiano». Per ora sembra solo una micro An: spaccato in mille correnti.

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