«Liti An-Forza Italia? Abbiamo scordato le nostre provenienze»

RomaSenatore Gaetano Quagliariello, che partito nasce questo weekend a Roma? Il rischio di «pensiero unico» berlusconiano, paventato da Gianfranco Fini, esiste?
«I giornali hanno fatto un gran clamore sul quel passaggio dell’intervento di Fini. Ma è chiaro a tutti, e soprattutto a chi viene da Forza italia, che un partito a vocazione maggioritaria non è e non può essere a pensiero unico. E neppure un partito che tenta di proporre sintesi su basi ideologiche: sarebbe una ricetta vecchia su cui ha già sbattuto il muso il Pd».
E la ricetta nuova del Pdl quale sarà?
«Il nostro deve essere un partito in cui confluiscono culture diverse: cristiana, liberale, socialista. Che trovano un accordo sulla concezione e sull’esperienza di governo, non sull’ideologia. Dunque, sui problemi che pone l’agenda del nuovo secolo: immigrazione, sicurezza, sfida antropologica, un’economia di mercato senza i vincoli del liberismo ideologico. E su questo abbiamo già mostrato in questi mesi di governo di essere capaci: è il metodo che applichiamo ogni giorno nei gruppi parlamentari Pdl».
Con quali risultati?
«Col risultato che ormai ci siamo quasi dimenticati le rispettive provenienze, e la regola del 70-30 tra Fi e An sta sempre più sbiadendo, tanto è naturale l’accordo. Perché in realtà questo partito è già nato tra i cittadini e nell’elettorato: sono anni che gli elettori di centrodestra hanno una forte propensione unitaria e un riferimento comune nella leadership di Berlusconi, come ha ammesso lo stesso Fini. In realtà il congresso è la formalizzazione di un percorso già compiuto».
Finora è sempre stato Berlusconi a rappresentare quella sintesi.
«Berlusconi ha saputo rappresentare un’Italia che fino al ’94 non ha mai trovato posto in politica: un liberalismo spontaneo, un anticomunismo direi esistenziale. Un grande fiume carsico senza rappresentanza, perché il sistema prevedeva solo sbocchi a sinistra, come dimostrano le difficoltà che hanno avuto i Dc non di sinistra e i socialisti riformisti. Quando è apparso Berlusconi, dopo la caduta del Muro e davanti al rischio che gli sconfitti della storia vincessero in Italia grazie ai magistrati, quel fiume è finalmente emerso. E lui ha saputo conquistare la durata al suo movimento, resistere ai momenti difficili e alle traversate del deserto. Non gli si può chiedere anche di garantire la continuità dopo di lui, questo è il compito delle classi dirigenti, e il Pdl serve esattamente a questo».
A proposito di leadership, la norma sull’elezione del presidente del Pdl ogni tre anni esiste ancora o è stata eliminata dallo statuto, come qualcuno denuncia?
«La abbiamo sostituita con una norma sulla sede vacante per i tre giorni necessari alla Resurrezione».
Niente male, a proposito di pensiero unico...
«Ovviamente era una battuta. L’equivoco è dovuto alla stoltezza dei lettori improvvisati, che non capiscono che essendo il presidente eletto dal congresso, che si tiene ogni tre anni, era inutile ripetere il concetto. Rassicuro tutti: il presidente viene eletto ogni tre anni».
Il discorso di Fini al congresso di An le è piaciuto?
«È stato all’altezza dell’occasione storica e per molti versi mi è piaciuto e lo condivido.

Sulla parte che riguarda l’agenda dei problemi mi è parso che suonasse un po’ ad orecchio, e su alcune cose dissento. Ma è lui stesso ad ammettere che le dissonanze ci possano essere. Con quel discorso Fini si è messo in gioco, e ha messo tutti in gioco».

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