Quando il signor Lee arriva sorridente con la bottiglia di plastica in mano bisogna insospettirsi. Mentre versa il vino appena spillato nella brocca di vetro, spiega che è stato vendemmiato lo scorso settembre e non è ancora del tutto pronto. «Ma i miei familiari hanno aggiunto troppo zucchero», e lui non è contento del risultato. C'è da capirlo. Basta guardare il colore: denso come quello di una prugna matura. Il sapore poi. Solo una coppia di turisti riesce a prorompere in un entusiastico: «Amazing». Ma sono americani, non fanno testo. In viaggio per loro tutto è sempre e comunque: «Amazing». All'assaggio è dolciastro come un succo d'uva dolcificato e sgradevole come l'aceto.
Il vino qui a Chizong, tra montagne alte 6mila metri e vallate scoscese e spelacchiate, l'hanno portato i gesuiti francesi oltre un secolo fa. E qualcosa dovrebbero pur aver insegnato visto che il metodo di produzione è rimasto immutato per decenni. In questo piccolo villaggio a duemila metri d'altitudine nell'estremo nord-ovest della provincia cinese dello Yunnan, i missionari arrivarono a fine Ottocento. Era solo una tappa lungo il corso del Mekong sulla strada per Lhasa. Partiti dalla provincia del Sichuan aspiravano a diffondere il Vangelo, tradurre in tibetano la Bibbia e aprirsi le porte dell'ermetico regno buddista per convertire quelle genti di montagna. Nel mentre fondavano missioni e piantavano vigneti. Non gli andò bene. In Tibet furono respinti in malo modo più volte, quando non massacrati. Così ai gesuiti francesi, cui negli anni Trenta del Novecento si sostituirono i monaci svizzeri dell'ordine di San Bernardo, non rimase altro che ripiegare su questa vallata aspra e scoscesa e accontentarsi di convertire la popolazione locale, un misto di tibetani, Naxi e Lisu. Qui hanno avuto più successo: l'80 per cento della popolazione, forse mille anime, è ancora cattolica. Gli altri sono buddisti, ma a Natale vanno a messa, così come i cattolici onorano le loro festività.
Con il suo screpolato campanile alto venti metri, la chiesa della missione è ancora il centro del villaggio di Chizong. Fu ricostruita in pietra nel 1910 dopo che una rivolta sobillata dai monaci tibetani distrusse la precedente, in legno. Il tetto ricorda quello delle pagode, le decorazioni all'interno riprendono motivi della cultura cinese, dal dragone alla fenice al fiore di loto, mescolati con qualche parola in latino e immagini della tradizione cattolica. I missionari hanno dovuto sloggiare nel 1950, quando i comunisti di Mao dopo aver preso il potere a Pechino hanno allontanato a forza i religiosi stranieri. Ma la popolazione tenacemente non ha abiurato, anzi ha resistito anche durante gli anni duri della Rivoluzione culturale. E oggi Chizong è ancora una strana isola cristiana in terra buddista.
Wu Gonding è il prete che si cura di tutte le chiese della valle fino a Tacheng, 250 chilometri più a Sud, ma non c'è sempre. Dunque i parrocchiani si arrangiano come possono: e alle volte, la domenica, sono delle donne a guidare la preghiera. Pochi ma devoti, ogni giorno alle 19 celebrano una funzione che è un'esperienza di sincretismo religioso. Qui sono ancora preconciliari: gli uomini siedono a destra, le donne - negli sgargianti abiti tradizionali rosa o rossi - a sinistra. Nessuno scopre il capo durante ma messa. Se c'è il prete la funzione è in cinese mandarino, ma i fedeli cantano gli inni in tibetano.
Intorno alla chiesa, tra le mura del convento, cresce il vigneto piantato dai missionari oltre un secolo fa. Lo gestisce il signor Lee, che non è neanche cattolico, ma a quanto pare qui poco importa. Quel che conta è che in qualche modo mandi avanti la tradizione enologica. Anche perché i vigneti sono di Rose Honey, una varietà di Cabernet Sauvignon che in Francia è estinta, spazzata via dalla filossera. In questi anni il governo di Pechino sembra aver riscoperto i vigneti di queste zone e più a sud, ad altezze meno difficili, ha sovvenzionato i contadini affinché piantassero vigne. I grappoli di Carbenet e Merlot vengono venduti a una società che si chiama Shangri-La Wines e produce pessime bottiglie per il mercato cinese.
Recentemente anche il colosso Moët Hennessy, quello del Dom Perignon, ha comprato 30 ettari non lontano, nella zona di Benzilian. Di sicuro il loro vino non sarà servito in bottiglie di plastica, ma non avrà certo tutta la storia del pessimo vino del signor Lee.Tino Mantarro
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