Cronaca locale

Lohengrin, un solo e indivisibile prodigio

Il 7 dicembre l'opera romantica di Wagner apre per la seconda volta in tempi recenti la stagione della Scala, oggi con la direzione di Barenboin e la regia di Claus Guth

Lohengrin, un solo e indivisibile prodigio

In una memoria autobiografica, Arturo Toscanini, evocava il suo primo contatto con la musica di Wagner. Giovane violoncello di fila suonava il Lohengrin al Teatro Regio di Parma. “Ebbi allora la prima vera, grande, sublime rivelazione del genio di Wagner. Impressioni magiche, ultraterrene mi diede alla prima prova il Preludio, fin dall’inizio - con quelle armonie divinamente celestiali che mi hanno rivelato un mondo nuovo - mai sognato prima che la mente sovrannaturale di Wagner lo scoprisse”. Comprensibile lo stupore del giovane Toscanini davanti al “motivo del Graal” che caratterizza tanti momenti del Lohengrin, l’opera romantica (1850) che apre per la seconda volta in tempi recenti la stagione della Scala, oggi con la direzione di Daniel Barenboim e la regia di Claus Guth (nel 1981 furono Claudio Abbado e Giorgio Strehler, celebrandosi il primo centenario della morte di Wagner). L’Italia stabilì con Lohengrin, prima opera di Wagner ad essere rappresentata in Italia (nel 1871 al Comunale di Bologna), un legame particolare. Per capire l’ammirazione e la penetrazione di quest’opera nel nostro paese basta scorrere l’elenco dei direttori del Lohengrin alla Scala (in ordine di apparizione): Franco Faccio, Toscanini, Serafin, Guarnieri, Gui, Panizza, Failoni, Marinuzzi, Del Campo e Votto. In quelle serate cantarono nella versione italiana del palermitano Castrone Salvatore De Marchesi, illustri Cavalieri del Cigno, da Italo Borgatti a Ettore Cesa-Bianchi, fino ad Aureliano Pertile, gran cesellatore del declamato continuo wagneriano. Poi si capì che la parola-musica di Wagner non poteva fare a meno delle sue irte consonanti, delle allitterazioni, di tutto quel calco di tedesco altomedioevale che è sostanza stessa della ricreazione leggendaria di Wagner. Egli, spingendo i violini in regioni sovracute con effetti ipnotizzanti di eco, immagina il regno celestiale da cui proviene l’eroe del dramma Lohengrin, e giunge dove nessun compositore si era ancora spinto, nemmeno il maestro della strumentazione a cui doveva di più: Carl Maria von Weber. “La vaghezza, la vaporosità, il senso di aureola, l’accento di mistero e di novità inaudita che tanti indescrivibili prestigi propongono allo stupefatto spettatore, spargono su tutto il Lohengrin una luce fredda e azzurrea”, come ha sintetizzato un critico italiano fra i più eruditi di cose wagneriane, Teodoro Celli. Una parte non trascurabile, anzi fondamentale, per la buona riuscita di Lohengrin, poggia sulle spalle dei cantanti. Ne sono necessari una mezza dozzina. Non solo per le due coppie antagoniste - gli amanti positivi votati alla separazione, Elsa e Lohengrin, e i malvagi, Ortruda e Telramondo - ma anche nella chiave di basso per il Re germano Enrico l’Uccellatore e per quella baritonale del suo stentoreo Araldo (da questo ruolo hanno iniziato la loro carriera wagneriana grandi baritoni come Eberhard Wächter e Dietrich Fischer-Dieskau e in Italia, Titta Ruffo). E‘ passato un secolo e mezzo da quando Franz Liszt, primo direttore di Lohengrin, preconizzava l’avvento di una nuova falange di cantanti: “ma converrà che si abituino a questo fraseggiare speciale, a questa nuova lingua musicale che non hanno mai parlata”. Le fortune, anche del dramma musicale wagneriano, dipendono sempre dal tenore, che nella lingua di Wagner, si chiama heldentenor, il guerriero dall’anima eroica. Per la serata di Sant’Ambrogio il pubblico potrà ascoltare il tenore tedesco Jonas Kaufmann, una artista capace di passare da Schubert a Bizet, da Wagner al verismo italiano nel rispetto miracoloso di ogni più piccola indicazione d’autore. Altrettanto doviziosa la presenza femminile: la statuaria Anja Harteros (Elsa di Brabante) ed Evelyn Herlitzius per il ruolo nero della maga Ortruda. Il reparto delle voci virili sarà ben presidiato, seguendo la piramide del potere, da René Pape (Re Enrico) a Tomas Tomasson (Telramondo) e Zeljiko Lucic (Araldo). Le premesse sul piano vocale ci sono tutte, il resto spetta al maestro Barenboim.

Siamo nelle sue mani.

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