Politica

Loiero: via il consigliere subentrato a Fortugno

Anche la Bindi scarica il presidente: «Mi dissocio dalle sue parole»

Stefano Zurlo

da Milano

Un delitto eccellente, maturato nei bassifondi della politica. E una guerra che dilania quella che una volta era la Margherita calabrese. Ora il presidente della Calabria Agazio Loiero sta per conto suo, anche se dentro il perimetro del centrosinistra, col neonato Partito democratico meridionale. E dalle colonne del Corriere della Sera si rivolge senza mezzi termini a Domenico Crea che ha ereditato in Consiglio regionale il seggio di Vincenzo Fortugno, ucciso a Locri il 16 ottobre 2005: «Se fossi al posto suo non rimarrei un giorno di più in consiglio e nemmeno in politica».
Crea si trova infatti in una situazione delicatissima; non è indagato per la morte di Fortugno, ma l’inchiesta ha colpito un suo vecchio amico: Sandro Marcianò, arrestato nei giorni scorsi come mandante dell’omicidio. Con lui è finito in manette il figlio Giuseppe Marcianò, che ha fatto addirittura parte della struttura personale di Crea fino al maggio del 2005. Una vicenda imbarazzante, aggravata se possibile dal movente dell’esecuzione che lo stesso Loiero spiega nell’intervista: «Io me ne andrei sapendo che due “miei” amici sono in carcere con l’accusa di aver aver ucciso Fortugno per far posto a “me” nel consiglio».
Come si vede, siamo al cortocircuito politico-giudiziario. Ma Crea, asserragliato nella sua trincea, resiste e anzi contrattacca: «Sono a posto con la mia coscienza. Faccio una proposta a Loiero: dimettiamoci insieme». A stretto giro di posta la controreplica del portavoce di Loiero: «Non mi sembra proprio - afferma Pantaleone Sergi - che si trovino nelle stesse condizioni. Non mi sembra proprio che Crea possa chiedere le dimissioni di qualcuno».
Risultato: i due piani, quello dei partiti e quello dei giudici, continuano a sovrapporsi e confondersi. Anche perché, come in tutte le indagini che si rispettino, la trama dell’omicidio (in verità non ancora del tutto decifrabile) è stata accompagnata sui giornali dalla solita coda di intercettazioni. I dialoghi carpiti dalle cimici in epoca non sospetta, anche precedente al delitto, non disegnano un bel quadretto: l’attuale sottosegretario alle Infrastrutture Luigi Meduri, parla al telefono con Crea e dà del «cretino» a Loiero e dell’«idiota» a Fortugno. La colpa di Fortugno? Essersi opposto all’ingresso di Crea, ex Udc, nella Margherita. D’altra parte il pm ha individuato la causa dell’omicidio nel «danno riportato dai Marcianò a seguito dell’elezione di Fortugno, a causa della quale Giuseppe Marcianò aveva cessato di far parte della struttura politica di Crea e Alessandro Marcianò era stato costretto a dismettere il potere clientelare personalmente gestito proprio in funzione del rapporto instaurato con Crea».
Un pozzo senza fondo di accuse, veleni e sospetti. Crea non vuole assolutamente perdere la posizione benché scomoda, anche se prova a fare dei distinguo con un faticoso slalom: «L’antagonismo e il veto manifestati dall’onorevole Loiero e dal compianto Fortugno rispetto alla mia candidatura fra le fila della Margherita sono arcinoti, ma lo erano già all’epoca dei fatti. Il povero Fortugno non era il solo a non gradire la mia candidatura, perché al pari degli altri, temeva che potessi danneggiarlo elettoralmente, in considerazione del fatto che ero considerato vincente». In effetti, nelle immancabili intercettazioni, Alessandro Marcianò considera una sorpresa la vittoria di Fortugno su Crea. «Le conversazioni fra Crea e Meduri - va giù pesante l’eretico Loiero - mettono bene a fuoco un contesto di vincoli, di allusioni, di comparaggio allucinante». E il presidente della Regione, che le questioni della Margherita le conosce, aggiunge perfido: «La candidatura di Crea fu decisa in Calabria col placet di Roma».

Ma proprio dai vertici della Margherita arriva la scomunica: «Non mi associo assolutamente alle parole di Loiero - dice da Locri il ministro Rosy Bindi - lo lascio attaccato al suo carro».

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