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Londra, «inevitabili altre bombe nella City»

La metà delle imprese attive nell’area non ha piani per un’emergenza

Erica Orsini

da Londra

Per Londra non è finita. Dopo gli attentati del 7 e il tentativo di replica del 21 luglio, un altro attacco alla City rimane inevitabile. Autore dell'inquietante affermazione è James Hart, commissario del distretto di polizia della City. In un'intervista al Financial Times, ha affermato di avere prove certe a sostegno delle sue dichiarazioni e che, purtroppo, si tratta soltanto di una questione di tempo.
Di attacchi «inevitabili» si è sempre parlato in Gran Bretagna, a partire dal tragico 11 settembre del 2001. Ma adesso, dopo che un mese fa le bombe sono scoppiate davvero, la capitale si rende conto che non si tratta soltanto di previsioni pessimistiche. Al quotidiano britannico Hart ha spiegato che, dal 2001 in poi, a più riprese sono emerse prove di «ricognizione ostile» nel cuore finanziario londinese. Il commissario non ha parlato di arresti, ma ha sottolineato come «ogni gruppo terrorista di successo ispeziona in anticipo i suoi obiettivi. E non c'è dubbio - ha detto Hart - che siamo stati oggetto di questo tipo di sorveglianza e che finora questo genere di evenienza è stata sventata».
Grandi aziende, edifici particolarmente appariscenti, luoghi simbolo della città, sono quelli ritenuti più a rischio. Il commissario ha inoltre sottolineato che la metà delle aziende che operano nell'area non sono assolutamente preparate di fronte a un simile evento. E sebbene i recenti attacchi abbiano indotto molte compagnie ad aggiornare i loro piani d'emergenza, il 50 per cento non ne ha affatto. Il mondo economico londinese incassa le critiche di Hart, ma manda a dire che in questo momento la maggiore preoccupazione per una possibile carenza di preparazione di fronte a un attentato in grande stile riguarda soprattutto le aziende medio-piccole. Mister Hart ha sottolineato che i centri finanziari di tutti i governi occidentali sono sempre stati il primo obiettivo dei terroristi. «Se vuoi colpire un governo, se vuoi colpire la gente e allo stesso tempo causare la massima devastazione - ha spiegato al Financial Times - dove meglio del cuore finanziario di una città?»
Il commissario ha osservato che la City, in particolare, è purtroppo avvezza a questo genere di minaccia. Per trent'anni è rimasta nel mirino degli uomini dell'Ira. «Pensate a quante volte ci hanno colpito - ha ripetuto - quando parliamo di un altro attacco ritengo non si debba parlare di "se", ma di "quando"». Relativamente alle «ricognizioni ostili» che sarebbero state effettuate dai terroristi, Hart ha precisato che seppure senza arresti, ogni informazione utile è stata trasmessa ai servizi segreti e che il perimetro di sicurezza sorvegliato dal nucleo antiterrorismo britannico è stato esteso il più possibile. Secondo il commissario infine, i responsabili degli attacchi del 7 luglio non sarebbero cellule in sonno dell'organizzazione terroristica al Qaida, bensì criminali esperti al cui interno vi sono senza dubbio anche dei simpatizzanti del gruppo guidato dallo sceicco saudita Osama Bin Laden.
Ad alzare il livello della tensione nella capitale ha contribuito ieri anche un'altra intervista rilasciata al Times dall'ambasciatore saudita uscente a Londra, il principe Faisal al Turki. Prima di lasciare la capitale il rappresentante arabo non ha esitato a scagliarsi con parole dure contro il governo Blair, accusandolo di aver sottovalutato la minaccia degli estremisti islamici. «Ho girato in tondo più volte in due anni e mezzo - ha dichiarato l'ambasciatore - nel tentativo, fallito, di mettere in guardia il Regno Unito dal pericolo costituito dai dissidenti sauditi legati ad Al Qaida». E il primo ministro britannico in questi giorni deve anche affrontare le polemiche sempre più accese suscitate dall'intenzione del governo di istituire dei tribunali segreti antiterrorismo.

I gruppi di difesa dei diritti umani sono sul piede di guerra, ma il Gran cancelliere ha già confermato l'intenzione di proseguire nella direzione indicata.

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