Lontano dal Sole brilla il pianeta gemello della Terra

Dista 15 anni luce dal nostro sistema e ruota attorno alla stella Gliese 876. È roccioso come il Globo, ma è senza vita. La temperatura supera i 300 gradi

Laggiù, proprio in fondo in fondo, c’è un’altra Terra. È lontana 15 anni luce ed è il pianeta più simile al nostro globo azzurro, quasi un gemello. Non è nel sistema solare, ma nella costellazione dell’Acquario, ai confini esterni della nostra galassia. La sua stella, il sole intorno a cui ruota, si chiama «Gliese 876». Un’oscillazione nella luminosità di Gliese ha insospettito i ricercatori di Berkeley, California. Dopo 150 osservazioni la notizia: è un pianeta e assomiglia al nostro. Laggiù, o lassù, dovrebbe fare molto caldo. Purtroppo sull’altra terra non c’è vita. Non dovrebbe esserci. Ma la scoperta di Berkeley ci fa sentire, comunque, meno soli. Era una delle notizie che aspettavamo da sempre.
L’otto febbraio del 1600, a Roma, Giordano Bruno si vide recapitare dal tribunale ecclesiastico trenta gravose imputazioni. Tra quelle più squisitamente teologiche, come l’aver negato la transustanziazione e la verginità di Maria, ne spiccava una a metà tra scienza e fede religiosa: il battagliero domenicano, in un saggio di una quindicina di anni prima, De l’infinito universo et Mondi, aveva predicato - contro i dettami biblici, e in ossequio a certe intuizioni copernicane - che l’universo non era una minuscola trottola di cieli cristallini imperniati su quest’aiuola che ci fa tanto feroci, la Terra, centro di gravità permanente del creato e della rivelazione di Cristo. Bensì era uno spazio senza limiti, punteggiato da infiniti pianeti fratelli del globo terracqueo. Nel primo dialogo di quest’opera in odore di eresia, le argomentazioni dell’ardente pensatore di Nola assomigliano a una sceneggiatura di fantascienza, alla Philip K. Dick, tipo Blade Runner. Immaginiamo che un lanciatore di giavellotto - ragiona il filosofo - si spinga fino alle fiammeggianti muraglie che sembrano delimitare l’universo, e scagli il suo attrezzo oltre. Dove aleggerà il proiettile, se l’universo è circoscritto da un non meglio identificato nulla? È giocoforza ammettere che tale confine non può esistere, e dunque lo spazio è in perenne espansione. Se i cieli sono sconfinati, non c’è ragione logica per ritenere che la terra e i pianeti del sistema solare siano singolari eccezioni della natura. I mondi devono essere innumerevoli. L’idea di Bruno non era del tutto originale. Risaliva ai pensatori-scienziati ellenici, come Epicuro, che derivava la sua fisica dagli atomisti, Democrito e Leucippo. Una fede incrollabile nell’atomo, come matrice di ogni cosa esistente, comportava una credenza razionale nella sua eternità (se l’atomo è l’unica realtà esistente, non può avere avuto un inizio temporale, e nessuna morte può disgregarlo) e infinita moltiplicabilità. Senza numero, dunque, i mondi, le terre, i pianeti che - come poeticamente scrisse l’ispirato Lucrezio - scivolano lungo le rotte celesti simili a infiammati stendardi, e nei cui interstizi cosmici riposano, in perfetta quiete, gli dei. Proprio in questi giorni giunge dagli astronomi americani la notizia di una scoperta che certo non avrebbe evitato al domenicano di essere trascinato a Campo dei Fiori per finire arso sul palo, con un mordacchio sulle labbra per impedirgli di proclamare a oltranza le sue personali verità, ma forse avrebbe alleviato la denuncia a suo carico relativa alla credenza dei mondi infiniti. Leggiamo sulle pagine della National science foundation la notizia della scoperta di un pianeta roccioso, che potrebbe assomigliare alla vecchia terra, anche se la temperatura sulla sua superficie è tra i duecento e i quattrocento gradi, non proprio ideale per lo sbocciare della vita, torrida come quella che si misura su Venere. Ma i punti di vicinanza con il nostro globo sono più di uno. La sua massa indica una struttura rocciosa, non gassosa, come quella di Giove. Inoltre, la sua orbita non è intorno a una pulsar - il rudere di un astro esploso - come gli unici altri tre pianeti rocciosi extrasolari a noi noti. Multiplo sei o sette volte della terra, il nuovo pianeta - ancora anonimo - orbita intorno a Gliese 876, stella rossa con una massa minore rispetto al Sole, a quindici anni luce dall’umanità.
«Si tratta del più piccolo pianeta extrasolare scoperto finora ed il primo di una nuova classe di pianeti rocciosi simili alla terra» ha dichiarato un esponente del Carnegie institution di Washington, Paul Butler, e il corpo celeste appena scoperto potrebbe essere un «fratello maggiore della Terra». Quindici anni luce sono una bella distanza.

Non crediamo che le poderose lenti dei telescopi americani modificheranno i nomi dei giorni della settimana (che si rifanno al sistema planetario tradizionale) o il simbolismo dei pianeti che rivela una fede atavica nella corrispondenza tra sfere astrali e caratteri umani - il lunatico, il gioviale, il marziale - ma non può non coinvolgerci l’idea che tanto ancora ignoriamo dello spazio che ci circonda, in un’epoca in cui informazioni globali, reti telematiche e colossali database pretendono di fare piazza pulita di tutti i misteri e di tutti gli enigmi.

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