Politica

L'opposizione gode a picchiare Maroni

Il Pd vede lo spettro del fallimento alle Regionali e punta il dito contro il ministro dell'Interno per trasformare il dramma di Rosarno in un manganello elettorale. Bersani e Bindi accusano: "E' tutta colpa della Bossi-Fini". Ma sulla 'ndrangheta solo silenzio

È cominciata la caccia all’uomo. Questa volta, però, a essere braccato non è Berlusconi. Ma solo perché sul premier, da quando è stato aggredito, è in atto il coprifuoco. Se non si può colpire direttamente lui, però, si può sempre trovare un’alternativa che lo coinvolga. E Roberto Maroni è la preda ideale. È il ministro dell’Interno del governo Berlusconi, ma soprattutto è un leghista. Sì, perché va bene la tragedia degli schiavi, la questione calabra, il pericolo della ’ndrangheta, ma esiste anche il fallimento del Pd e della sinistra che alle prossime regionali rischiano di perdere molte di quelle regioni fin qui da loro governate, Calabria per prima. Quindi quale occasione migliore per trasformare il dramma in un manganello elettorale? D’altra parte quello di strumentalizzare le disgrazie, in mancanza di argomenti, progetti e di una linea, è una delle attività che la sinistra pratica con riconosciuta capacità. Sono i maestri del ditino alzato.

Il fuoco su Maroni è partito addirittura da Bersani. Attento a esporsi, spesso silenzioso, il segretario del Pd questa volta ha preferito cavalcare la rivolta contro il ministro dell’Interno per cercare di nascondere l’immobilismo cronico che gravita intorno alla sua segreteria. Insanguinata dalla ’ndrangheta, ferita dalla raffica di avvisi di garanzia, la Calabria di Loiero ora viene usata dal centrosinistra per una disperata offensiva. L’obiettivo è quello di partire da Rosarno per risalire la penisola e soprattutto i sondaggi. Sfruttare gli schiavi calabresi per delegittimare Maroni, uno dei simboli della lotta alle mafie. Operazione rischiosa per l’Italia, ma priva di alternative per il Pd e i suoi alleati che sono costretti ad anteporre, di nuovo, la loro sopravvivenza all’interesse del Paese. Quell’interesse di cui spesso si sono riempiti la bocca, questa volta viene calpestato inseguendo un calcolo privo di certezze.

Non per Rosy Bindi, però. Lei non ha mai dubbi, soprattutto se si tratta di criticare il governo Berlusconi: «La vergogna di Rosarno dovrebbe consigliare una riflessione seria sul fallimento della Bossi-Fini. Continua invece da parte del governo un penoso scaricabarile. Gelmini e Maroni non possono cambiare le carte in tavola attribuendo a tutti tranne che a se stessi la responsabilità di una tragedia che nasce dalla negazione dei diritti elementari di chi viene a lavorare in Italia. Abbiamo sentito il richiamo del Papa, la voce autorevole del Presidente della Repubblica ma non una parola del Presidente del Consiglio. Il nuovo anno era iniziato con il battesimo del partito dell’Amore. Ma alla prova dei fatti non se ne vede traccia».
Non una parola sulla ’ndrangheta. Nessuna sul governatore Loiero. Che da parte sua non si lascia certo pregare per accodarsi e scaricare sul governo le proprie colpe: «Il primo ad avere tollerato la situazione di Rosarno è proprio il ministro Maroni. Nel momento in cui la politica governativa sull’immigrazione mostra tutti i suoi limiti, il ministro invece di recitare un mea culpa non trova di meglio che scaricare tutto sulla Regione». Tutto semplice, no? L’inferno calabro si spegne mandando all’inferno il Bobo leghista. Basta poco. Basta un esposto alla Ue, come annuncia il presidente di quello che resta dei Verdi, Bonelli. Cara Europa, ecco il capro espiatorio. ’Ndrangheta e clandestini possono stare tranquilli.

Ma la Calabria non è un’invenzione di Maroni. È una terra di confine, dove Rosarno è solo uno dei tanti avamposti con l’odore di ’ndrangheta nella carne, nei pensieri, nelle abitudini, nel modo di vedere il mondo. È lì che il Sud più disincantato incontra la disperazione di chi sta ancora più a Sud, di un esercito di disperati che entra di straforo, fuorilegge, senza garanzie, quasi senza speranze. I nuovi schiavi non nascono dalla Padania, non vengono dalla Bossi-Fini, ma da chi accetta e garantisce la violazione di tutte le norme. Non ci illudiamo. Non vi illudete. Ogni volta che un clandestino entra in Italia ad aspettarlo c’è la ’ndrangheta, la mafia, la camorra, i clan albanesi o nigeriani. E uno si chiede dove stanno in queste terre i sindacati. Sempre pronti a denunciare lo sfruttamento dei lavoratori e ciechi davanti al lavoro nero. Quello vero. Quello senza dignità. E il messaggio di partenza sbagliato: venite, porte aperte.

E poi si chiudono gli occhi su tutto ciò che c’è dietro quelle porte.

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