Il paradosso è pronto così, non va neanche messo nel microonde dell'enfasi: la Nba per i playoff 2008 rischia di dover contare, per avere attenzione sufficiente, sul ritorno al passato. Ovvero, Boston Celtics-Los Angeles Lakers, la sfida che moltissimi vorrebbero vedere, tra circa un mese e mezzo, quando partirà la finale. A causa del declino soprattutto dei Celtics, è un confronto sparito dal 1987, ma che si vide tre volte in quattro anni in quel periodo che lanciò la Nba, a lungo considerata una lega di drogati e sfaccendati, alla popolarità mondiale.
Stavolta le premesse ci sono, più ad Est che ad Ovest, a dire il vero: ringiovaniti, rinvigoriti e ringalluzziti dall'arrivo di Paul Pierce e Kevin Garnett, i Celtics hanno chiuso la regular season con il maggior numero di vittorie, 66, ovvero 42 in più della scorsa stagione, e con una fiducia in sé che non è stata scalfita in nessun momento, nemmeno nell'unica serie davvero negativa, 3 sconfitte consecutive tra il 19 e il 22 febbraio, tutte in trasferta, tutte contro squadre della Western Conference, il che magari può voler dire qualcosa. Obiettivamente, tra le squadre della Eastern Conference solo Detroit sembra in grado di poterli sfidare alla pari, a meno che sulla strada di Boston non si ponga il fenomeno paranormale LeBron James, che già lo scorso anno dimostrò di poter portare in finale quasi da solo una squadra non eccezionale come Cleveland. La quale deve però prima preoccuparsi di superare Washington, sua avversaria nei playoff per il terzo anno consecutivo. I Lakers, invece, sono andati molto meglio del previsto: a inizio anno pareva che la partenza di Kobe Bryant fosse imminente, specialmente dopo le acide considerazioni estive sull'operato del general manager Mitch Kupchak, ma la crescita di rendimento di alcuni giocatori e l'arrivo a febbraio di Pau Gasol hanno permesso alla squadra allenata da Phil Jackson di terminare al primo posto nella Western, con 57 vittorie e 25 sconfitte. Il guaio è che il distacco tra la prima e l'ottava ad Ovest è stato di sole sette partite (ad Est Atlanta, ottava, ha vinto 29 gare in meno dei Celtics) e dunque ogni serie di playoff si potrebbe risolvere in una lunga battaglia che alla fine potrebbe promuovere alla finale una squadra esausta. Un primo turno San Antonio-Phoenix fa impressione: campioni in carica contro mutanti, ovvero gruppo che era abituato ad un gioco rapido e semi-libero e che da metà febbraio si è ritrovato in casa Shaquille O'Neal, antitesi della rapidità ma giocatore che dal 1992 ad oggi ha giocato in tre squadre, prima dei Suns, portandole tutte alla finale e vincendo il titolo con due di esse.
Già i playoff Nba sono, per ferocia competitiva, uno sport diverso dalla regular season, figuriamoci cosa può accadere in una serie che si trascina acrimonia dallo scorso anno, quando per le conseguenze di un fallo ruvido di Robert Horry (San Antonio) su Steve Nash, con frattura del naso di quest'ultimo, due giocatori della panchina di Phoenix reagirono, entrarono in campo e furono squalificati per una partita, che San Antonio vinse, chiudendo poi la serie sul 4-2.
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