Non riusciranno mai a garantire l'informazione. In compenso fin d'ora riescono a garantire il divertimento. Sarebbe perfetto se stessimo parlando dei comici di Zelig. Invece stiamo parlando delle nuove regole della par condicio: a leggere le proposte all'esame dell'Authority delle comunicazioni, in effetti, ci viene il sospetto che ad avanzarle siano stati Gino&Michele.
Dicono di voler preparare il terreno ai programmi di politica. In realtà, a noi sembra lanteprima di un gigantesco show. Da ridere fino alle lacrime. O forse da piangere, vedete voi.
I faccia a faccia, intanto, non si devono più chiamare così. Si chiameranno «conferenze-dibattito». Perfetto, no? Ma si potrebbe fare di più. Perché, per esempio, non chiamarli simposi? A moderare-condurre, poi, non ci dovrà essere un giornalista abituato ai talk show. È chiaro, altrimenti, il telespettatore rischia di rimanere sveglio: a moderare-condurre dovrà esserci il presidente della Rai. Pensateci: è meraviglioso. Via Vespa, arriva Petruccioli. Interessante anche il modo in cui si vorrebbero scegliere i giornalisti che devono partecipare a questi incontri-conferenze-dibattiti. Per competenza? Per testata? Per indipendenza? Macché: per sorteggio. Come la Champions League.
Vi sembra impossibile? Lo so. Eppure non è uno scherzo. Quelle elencate sono alcune delle regole che si vogliono davvero imporre ai dibattiti in Tv. E che giovedì potrebbero diventare atto d'indirizzo, cioè norma obbligatoria, approvata dell'Authority. C'è persino un emendamento che propone di vietare ai politici intervistati di portare con sé appunti, tabelle, diagrammi, supporti vari, documenti scritti o «altri effetti tangibili». Non vi pare straordinario? A parte il fatto che non si capisce perché si debbano vietare le tabelle e i diagrammi se servono a chiarire meglio un concetto, quello che turba è quel divieto a portare con sé «altri effetti tangibili». Che cosa sono? Anche la cravatta? Anche i vestiti? A che cosa vogliono arrivare i sacerdoti dell'Informazione Corretta? Al nudismo applicato alla politica? Il dibattito deve poi essere rigorosamente diviso in «tre sezioni di uguale durata», ognuna delle quali - seguite che viene il bello - «dedicata a politica estera, politica interna, e questioni sociali o ambientali». Immaginatevi la scena: un giornalista si è preparato la domanda di politica interna, sta per rivolgerla al candidato, ma zac, suona la campanella, la sezione è finita, di politica interna non si parla più. Il giornalista è obbligato a fare una domanda di questioni ambientali. Fantastico, no? «Volevo chiedere della tassazione delle rendite». Non si può. «Della tassa sulla casa...». Non si può. «E va bene. Allora: il problema delle foreste dell'Amazzonia...».
Ecco quello che produce l'ansia di voler regolamentare tutto: in realtà non si regolamenta nulla. Al massimo si lascia libero sfogo alla follia. E si genera un caos nel quale sguazza chi vuole intervenire a capocchia contro questo o quello. «Non vogliamo interferire con l'autonomia dei giornalisti», assicura il presidente dell'Authority. E quando mai? Però li vogliono estrarre a sorte, come alla tombolata di Natale.
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