Louisiana Red una chitarra senza tempo

Antonio Lodetti

Il suono della sua chitarra elettrica è ora sferzante ora struggente come le immagini che richiama; asimmetrico, asciutto come il ricordo delle strade del Mississippi, dove nacque e dove suo padre fu linciato dal Ku Klux Klan. Louisiana Red ha lasciato da decenni il Delta; s’è stabilito in Germania, dove è attivamente impegnato nel sociale. Lui è cambiato e il mondo anche, ma Red continua a portare in giro nei piccoli club l’anima del blues nella sua semplicità, con carica emotiva stringente ed essenziale, coinvolgente ma prosciugata di ogni sentimentalismo. Lo fa da solo e in duo (le sue dimensioni migliori) con Lefty Dizz o addirittura con Eugenio Finardi ma lo fa altrettanto bene con la band, in particolare con la Blues Machine che scorrazza con lui in giro per l’Europa e lo ha accompagnato in Spagna e gli ultimi quattro giorni del 2005 (compreso un pirotecnico Capodanno) allo storico Big Mama di Roma. Con un piede nelle radici downhome (tra l’altro ha collaborato con Muddy Waters e John Lee Hooker) e l’altro nel blues elettrico a cavallo tra Chicago e Detroit (non a caso ha collaborato sia con Muddy Waters che con John Lee Hooker). I suoi sono spettacoli semplici e diretti che sanno di vita vissuta; vita tormentata con una chitarra come talismano per scacciare i propri incubi. Non che lo show di Tampa Red sia melanconico o noioso, anzi.

Il suo suono ha il fascino del blues a tutto campo, quello che sa trascinare il pubblico nascendo dal profondo (magari con l’aiuto di qualche robusta sorsata d’alcool) e rivestendo di raro spessore realistico brani nuovi come No Turns Red e classici come Vicksburg Blues.

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