«Lourdes», il film che mette d’accordo agnostici e credenti

RomaMa Dio ci è o ci fa? Guardando quello che succede intorno a noi viene voglia di darsi a Santa Nega, invece d’aver fede. Però, qualcosa dovrebbe esserci dalle parti del Paradiso, se divi laici come Valeria Golino e Riccardo Scamarcio se ne vanno a Napoli in incognito (con quegli occhi e quei ricci, tutt’e due?) a impetrar grazia dalla santona di Medjugorje. E adesso ci si mette pure Lourdes (dall’11 in sala), singolare film della viennese Jessica Hausner, a sollevare dubbi sul tema del credere o no. Tanto per cominciare, chi non si è mai recato in pellegrinaggio a Lourdes vedrà che cosa si fa, materialmente, una volta entrati nel meccanismo delle sante abluzioni. E chi vuole semplicemente sentirsi raccontare una storia sarà esaudito con l’eccezionale vicenda di Christine (la brutta ma brava Sylvie Testud), una ragazza come tante, che però vive inchiodata sulla sedia a rotelle.
La giovane, non particolarmente credente, intraprende il classico «viaggio della speranza»: hai visto mai... «La Vergine ci guarda», le dice un’infermiera dell’Ordine di Malta, mentre un esercito di malati le sfila davanti. E si organizzano gite («sono venuta a Lourdes, perché così posso viaggiare», confessa Christine a un vigilante moro, che subito le piace) e si fanno foto di gruppo, bastoni e carrozzelle incluse, e insomma, si cerca di campare, accendendo ceri e bevendo acqua miracolosa ai pasti. C’è poi da accarezzare la grotta dove apparve la Madonna e, già a questo punto, qualcosa accade. La mano rattrappita di Christine ha uno slancio e quella stessa notte la ragazza si alzerà in piedi, andrà in bagno, si pettinerà allo specchio con studiata lentezza. Preghiera esaudita, allora? Chi lo sa: la malattia a volte ritorna e la solitaria signora Hartl, che era andata a Lourdes per stare un po’ in compagnia, prudentemente va a riprendere la carrozzella di Christine.
«Di mio, sarei protestante e credo che Dio non esista. Volevo soltanto raccontare una storia, per riflettere sull’idea di miracolo. E siccome Lourdes, in questo senso, è il massimo, m’è venuta l’idea di girare lì», dice la Hausner, pressoché ignota, da noi, ma apprezzata in Francia e in Germania per i suoi film di nicchia (come questo, distribuito da Cinecittà Luce). Detta così, pare una presa in giro: perché mai uno dovrebbe spendere sette euro per un film parafilosofico abitato dalla sofferenza? Il fatto è che Lourdes, uno dei prodotti più anomali ora in circolazione, fa anche sorridere, soprattutto quando tra i non miracolati serpeggia una potente invidia nei confronti di Christine. «I miracoli non durano sempre», dice una vecchia. «Perché proprio a lei?», replica un'altra. Va in scena la solita vecchia storia dell’homo homini lupus, persino tra chi sta male. «La malattia è una metafora che racconto come un handicap dell’anima. Nella vita, questo è il messaggio, non si può avere tutto quello che si vuole. E riesco persino ad abbracciare la crudeltà, espressa dai pellegrini, che non si vedono esaudire le loro preghiere», spiega la regista, che dichiara un debito nei confronti di Luis Buñuel e che presto girerà un film d’amore.
Luciano Sovena, amministratore delegato di Cinecittà Luce, calcola i rischi legati all'uscita (40 copie) d’un simile sofisticato prodotto, su un mercato zeppo di film più «facili». «Qualcuno dovrà scommettere sul cinema di qualità», sottolinea il manager.

Tuttavia Lourdes, in concorso a Venezia, ha vinto sia il cattolico premio Signis 2009 («per le problematiche umane che solleva») sia l’ateo Premio Brian 2009, «per l’approccio razionalista al tema del miracolo». Significa che, girando per le scuole, potrebbe radicare fede o ateismo.

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