La lucida follia di due scrupolose domestiche

Franca Valeri e Annamaria Guarnieri protagoniste del celebre capolavoro del drammaturgo francese

Un gioco di specchi, di recite, di immedesimazioni che oscillano tra la vita e la morte. Un sogno lugubre e mostruoso nel quale ritrovare la parte segreta di noi: ciò che potremmo divenire se dessimo sfogo alle nostre più profonde pulsioni. Nel rileggere per Franca Valeri e Annamaria Guarnieri Le serve (Les bonnes) di Genet, capolavoro della drammaturgia del Novecento andato in scena la prima volta nel ’47 al Théâtre de l’Athénée con la regia di Jouvet, Giuseppe Marini sceglie la strada della metafora e, ancor più, della metateatralità, messe a servizio di un gusto assolutamente visionario che, da un lato, coglie in pieno le intenzioni dell’autore francese e, dall’altro, valorizza le eccellenti prove delle due grandi attrici. Capelli bianchi raccolti sulla nuca, trucco sforzato ai limiti della maschera, simbiotico rimbalzo di gesti e battute che non cedono mai all’eccesso o, tanto peggio, allo psicologismo: queste Solange e Claire Lemercier, cameriere personali di una ricca Madame interpretata da Patrizia Zappa Mulas, posseggono la naturalezza della follia, la lucida compostezza del fallimento esistenziale. È la cerimonia mortuaria che celebrano ogni sera a tenerle vive: uscita di casa la padrona, esse si ritrovano nella sua camera, indossano i suoi vestiti, giocano ad essere lei, «simulano» il suo omicidio. Quando però arriva il momento di avvelenarla davvero, falliscono. Decretando un’autodistruzione ormai inevitabile. Nello spettacolo di Marini il palcoscenico «reale» della rappresentazione sembra duplicarsi in un doppio (il sipario sul fondo, le luci fatte calare alla ribalta, il grande specchio che connota la stanza di Madame) chiamato a contenere la «recita nella recita» delle serve e, insieme, a mostrarcele nude, senza scampo, immobili. Come se mettere in atto una macchina scenica così articolata e ricca fosse funzionale - per paradosso - a una più schietta rivelazione della realtà.

Come se, in definitiva, sotto le luci e l’aureola che illuminano l’imponente catafalco sul quale appare la signora/santa, non fosse più possibile distinguere senso del sacro e necessità di finzione: entrambi illusorie - ma necessarie - vie di fuga dai mostri che si annidano nelle nostre coscienze.
In cartellone all’Argentina fino al 20. Info: 06-684000345.

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