Il lucido delirio del teatro di Von Kleist

F inalmente la collana dei Meridiani Mondadori accoglie Heinrich von Kleist con una edizione, curata da una specialista come Anna Maria Carpi, che raccoglie con cura meticolosa, perfetta scansione cronologica e ricchissimo commento interlineare tutta la produzione del grande poeta. Alfiere di un diciottesimo secolo che guardava all’unità della cultura tedesca minacciata da Bonaparte, romanticamente interpretato come un astro infero, volto a schiacciare in nome di un nazionalismo esasperato, il mito di Weimar e l’olimpica grandezza di Goethe. Al quale il giovane Heinrich si riferiva con la succube riverenza che si professa a un padre, del tutto incurante della stizzosa attenzione riservatagli dall’autore del Faust. Che in lui non scorgeva un epigono ma un eccentrico guastafeste piombato a torturarlo prospettando, nell’io diviso dei suoi eroi, l’ombra minacciosa di quel dissidio che due secoli dopo sotto il segno del tremore e del timore avrebbe scisso, auspice Freud, l’intoccabile classicismo di lui stesso, l’eretico di Francoforte. In queste pagine febbrili e tumultuose restituiteci da impeccabili traduzioni solo oggi, dopo l’infelice versione dell’opera omnia affrontata anni fa dal compianto Errante in versi succubi di Pindemonte e non del terso lessico di Kleist, siamo in grado di accedere al trascorrere del pensiero dell'autore. Che, nel suo mirabile confluire dalla prosa al verso, non ha mai smarrito la rotta descrivendo in immagini memorabili lo scompenso delirante dell’uomo scisso tra la vertigine della mente e l’impulso motorio del corpo. In una serie di opere diverse solo in apparenza poiché in realtà obbediscono a un preciso scandaglio scientifico sotto la vernice esteriore dello stile. Non c’è infatti differenza tra la dedizione estatica della fanciulla Katchen di Heilbronn al suo cavaliere (annunciato da un sogno di cui è protagonista, come nell’Annunciazione, un cherubino) e la furia dolorosa dell’amore che coglie Pentesilea costringendola ad annientare Achille tutt’uno con lei nei gorghi dell’infinito. Quella morte che Kleist, questo adoratore del Bello che non riuscì mai a cogliere nella fugacità della vita, a lungo corteggiò fino ad attuarla in compagnia dell’ultima musa.

Mentre il suo coetaneo Holderlin, distrutto dal male di vivere, abbandonava la fragile corteccia del corpo all’ineluttabile trapasso dopo aver procurato al suo eroe Iperione l’intensa felicità dell’attimo che consiste nella contemplazione della bellezza del mondo.

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