«A quei tempi ero in fasce, essendo nato il 28 ottobre 1943» racconta il dottor Maurizio Ortona. Laureato in fisica, sposato con Renata, padre di due figli, ha lavorato tra il capoluogo ligure e Milano per una grossa impresa informatica. Amante della storia e delle tradizioni del suo popolo, è protagonista di una vicenda che testimonia come sia possibile, in mezzo all'infuriare della seconda guerra mondiale e ai suoi orrori, incontrare persone di rara umanità. «Ho dei ricordi, o meglio delle immagini di me nel luogo in cui i miei genitori hanno vissuto per circa due anni - continua Ortona - Immagini nelle quali mi rivedo nelle braccia della signora Rosetta Ottonello, una delle persone che maggiormente ha contribuito alla mia sopravvivenza e che si è presa cura di me. Il resto è frutto di racconti successivi e di ricostruzioni mie. I miei genitori, insieme ai miei nonni, erano sfollati in una villa di Recco e questa situazione si è protratta sino, all'incirca, all'8 settembre 1943».
Proprio allora iniziarono i tempi cupi
«Dall'8 settembre al 28 ottobre 1943 accadde una serie di episodi antipatici primo dei quali fu la requisizione, da parte del comando tedesco, della nostra villa per farne la sua sede. Quindi nel giro di un giorno la mia famiglia fu messa alla porta, con una valigia e poco altro a disposizione» riprende il dottor Ortona.
Come avvenne la sua nascita? «Mia madre fu costretta a partorire in una casa sulle alture di Ruta di Camogli, ospite di una signora. In quanto Ebrei, non potevamo accedere a nessun servizio sanitario, pena gravissimi pericoli. Eravamo una famiglia ebrea in fuga: un carabiniere nostro amico ci avvisò che la Milizia era sulle nostre tracce».
Come riusciste a seminare i nazifascisti?
«Credo che mia madre, disperata, insieme a mio padre con me in braccio abbia bussato alla porta di un convento di suore sulle alture di Ruta, dove i miei genitori furono ospitati per qualche settimana e dove è iniziato un passaparola che ha fatto scattare la solidarietà cristiana». Solidarietà nella quale una suora gioca un ruolo decisivo: «Suor Genesia Ottonello, una delle cause principali della nostra salvezza» la definisce senza esitazioni il Dottor Maurizio Ortona. Come si svolsero i fatti? «I miei genitori, su indicazione delle suore di Ruta, si presentarono verso novembre-dicembre 1943 al Convento delle Suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, sito in Carignano a Genova, dove chiesero aiuto alla madre superiora, la quale - racconta Ortona - si rivolse a sua volta a Suor Genesia, che occupava una posizione di primo piano in un Ospedale della Garfagnana, dove si occupava dell'assistenza sanitaria e dove poi rimase per oltre vent'anni. Fu allora che Suor Genesia si adoperò per trovare una sistemazione presso i suoi fratelli Giacomino e Rosetta a Masone». Come vi arrivaste? «Credo che mia madre, con la valigia e il mio corredo, che era tutto quello che ci era rimasto, si sia fatta tutte le montagne a piedi da Ruta di Camogli, raggiungendo Capreno, con destinazione finale Masone». Cioè il porto della salvezza. «Due persone eccezionali, Giacomino e Rosetta, hanno accolto la nostra famiglia nascondendoci nella loro abitazione - racconta Ortona - La nostra sistemazione era protetta da una porta nascosta da un armadio». Insieme si cercava di contribuire alla sopravvivenza comune. L'intera famiglia Ottonello, «ma anche tutto il paese» precisa la consorte di Maurizio Ortona, signora Renata, stese una fitta ed efficace rete di silenzio sulla famiglia genovese.
La situazione si complica però dopo il massacro della Benedicta del 19 maggio 1944. «Mio padre sfuggì in maniera assolutamente miracolosa al rastrellamento delle SS, le quali, entrate nella casa dove ci trovavamo non si accorsero di una paratia dietro la quale lui si nascondeva» riprende Ortona. Fu necessario escogitare nuove soluzioni. «Mio fratello fu affidato alla signora Colomba e io alla signora Rosetta - ricorda Ortona - mentre i miei genitori hanno bussato alla porta di Don Buffa». Il sacerdote pare fosse vicino al regime fascista, «cosa abbastanza comune a quei tempi - osserva Maurizio Ortona - ma, al momento di dare una mano, la diede, e anche in maniera molto efficace, ospitando i miei genitori e nascondendoli nel campanile della Chiesa per circa due mesi. In questo periodo non sono mai usciti all'esterno e mia madre racconta che ascoltavano insieme Radio Londra e insieme cercavano di contribuire alla sopravvivenza comune».
Dopo la Liberazione don Buffa si trovò in difficoltà: ricevette minacce e accuse di simpatia verso il fascismo e lascerà la parrocchia
«Mio padre era divenuto membro del Comitato di Liberazione Nazionale e, dopo il 25 aprile, partecipò attivamente al ripristino della vita civile del paese - riprende Maurizio Ortona. - Apprese che il nome di Don Buffa compariva in una lista di proscrizione e so che lui e i miei genitori si incontrarono per discutere il da farsi. Mia madre preparò degli abiti civili per don Buffa da utilizzare se si fosse presentata la necessità» rivela. Per la cronaca, nelle memorie del Vescovo di allora, Monsignor Giuseppe dell'Omo, pubblicate su L'Ancora dell'11 novembre 1990 a cura di Giacomo Rovera, leggiamo che «Don Franco Buffa rinunziava spontaneamente alla parrocchia di Masone che aveva retto dal 1934.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.