Lui, Sivori, Zidane i numeri 10 da 5 in condotta

Grandi nel gioco, idoli dei tifosi ma fuorilegge come il calcio di oggi

La magia del numero 10. Dicono così gli scrittori del football, cantano l’arte e la poesia, lo stile e la fantasia, il genio e la passione di chi calcia divinamente un pallone, regalando un sogno. Non è sempre Maradona, non è sempre Platini, nemmeno Baggio o Luis Suarez o Ferenc Puskas e Pelè e Rivera, veri campioni, raffinati e maledetti, eleganti e benedetti. Ogni tanto è Totti, tredici volte cacciato dal salone delle feste, il campo di gioco. Ogni tanto è Zinedine Zidane, quattordici espulsioni in tredici anni di carriera altissima. Ogni tanto è Enrique Omar Sivori, la cabeza più grande di Argentina, undici volte in riformatorio con la maglietta della Juventus e del Napoli. Non erano forse grandi protagonisti, eroi del popolo pallonaro, cocchi dei loro padroni, da Agnelli a Chirac a Roma capitale dell’impero che fu?
Francesco Totti va a concludere la sua stagione difficile, lo fa con un gesto volgare, violento, non spontaneo ma cercato, che si aggiunge a troppi altri, il pugno a Colonnese, le mani in faccia a Galante, il calcio a Obodo, lo sputo a Poulsen, la maglietta purgativa ai laziali, gli insulti a Moreno, roba brutta e sporca per un grande calciatore e capitano, di cui nessuno può discutere talento, stile, efficacia, forza, importanza. Ma l’educazione? O meglio, il comportamento nei confronti dell’avversario, dell’arbitro, del pubblico rivale? Il senso dello sport e della sconfitta?
Riaffiora il calcio di strada, senza legge o con un regolamento dei conti immediato, la vendetta, lo sgambetto, il cazzotto, l’insulto. Sivori teneva i calzettoni addormentati (alla “sgagassa”, dicevano a Torino) sulle caviglie per provocare il difensore all’entrata bastarda ma qualche giocata dopo, mentre l’azione si sviluppava da un’altra parte, era lui a farlo stramazzare con una testata sulla faccia o una tacchettata sugli stinchi. Zidane prendeva a pugni, contro il Marsiglia, il suo futuro sodale di squadra Desailly, o ripeteva il colpo con Fink, tedesco del Bayer Leverkusen, o scalciava Mendy del Mantigues, ed erano i giorni di Bordeaux, oppure si spazzolava le scarpe sul corpo del saudita Fouad Amin durante i mondiali del Novantotto, o prendeva a testate Kientz dell’Amburgo ed era la Juventus e, ancora a Madrid, con la maglietta del Real, addirittura una espulsione la sera in cui trenta telecamere lo ritraevano passo per passo, goccia di sudore per goccia di sudore, un intero film a lui dedicato, “Zidane Ritratto del XXI secolo”, vergogna compresa, per finire alla testata di Berlino, l’ultima, storica, mortificante.
Totti si siede allo stesso tavolo e con la stessa impunità di chi è protetto dai propri cortigiani che sono i tifosi, e si può capire, i dirigenti, un po’ meno, gli uomini politici, questo no, come non si può ammettere, i giornalisti. Totti ottavo re, ultimo baluardo contro il potere del Nord, simbolo della romanità, il dépliant turistico è una collezione ridicola di frasi e luoghi comuni, retorici, infantili, fragilissimi. Totti è il calcio di oggi, quello prepotente e arrogante, screanzato, quello che ritiene di essere unico, esclusivo quando il fatto avviene tra i confini domestici ma si trasforma in martire, vittima, codardo non appena si emigra, si va a sperimentare il proprio ego contro qualcuno che la pensa diversamente.
Il Tottificio, la sua esaltazione eterna, come la città di residenza, sono state vitamine avariate per la maturazione di un talento naturale, di un ragazzo che con il pallone sa fare quello che vuole; la permanenza a Roma non ha contribuito a migliorare il suo bagaglio professionale, non certo la sua educazione, come confermano gli esempi, ugualmente, negativi di Sivori e di Zidane.
Da oggi Totti tornerà a correre lo stesso pericolo, a trovarsi, cioè, attorniato dai cortigiani pronti a giustificarne gli errori e le colpe con l’alibi della provocazione. Anche Zidane, dopo Berlino, così si scusò: «Il vero colpevole non è chi reagisce ma chi provoca». Anche Sivori diceva che gli avversari avevano un solo obiettivo, picchiarlo.

Forse Maradona o Platini, Puskas o Rivera, Suarez o Baggio, ricevevano soltanto confetti e carezze o erano esclusi dalla caccia all’uomo?
Sul comodino di Francesco Totti resta il fotogramma di mercoledì notte, l’album, pieno di immagini trionfali, qualche pagina è stata strappata dallo stesso autore. La colpa non è di nessun altro, questa è la vita. Totti lo sa, the life is now.

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