Roma - Un governo a maggioranza finian-bersaniana? I diretti interessati, segretario del Pd e presidente della Camera, smentiscono seccamente ogni chiacchiera sul tema. Ma intanto, lontano dal continente, i loro colonnelli provano a tessere la tela di un mini-ribaltone.
Dove? In Sicilia, naturalmente, terra d’elezione di ogni barocchismo e negli anni laboratorio di innumerevoli contaminazioni politiche e di esperimenti da trasferire in terraferma. D’altronde, a chi gli chiedeva se volesse diventare il Silvio Milazzo del Terzo Millennio, il democristiano a capo di un governo siciliano appoggiato da Msi e Pci, il governatore Raffaele Lombardo ha risposto: «Perché? Cosa c’era che non andasse in Milazzo? Aveva capito già da allora che destra e sinistra sono finzioni».
Ecco dunque che qualche giorno fa il finiano di ferro Fabio Granata, siciliano e gran supporter di Lombardo (che come è noto ha ottime relazioni con Fini, e lo ha incontrato solo un paio di settimane fa a Montecitorio), ha concesso un’intervista a Repubblica, pagine locali, nella quale ha annunciato che il governo dell’Isola deve andare avanti ad ogni costo e «senza tentennamenti», anche con un cambio di maggioranza. E di fronte all’ipotesi che, da Roma, il «diktat» di Berlusconi richiami all’ordine Gianfranco Miccichè e gli altri ribelli del Pdl-Sicilia, togliendo di fatto la maggioranza a Lombardo, Granata spiega: «Noi continueremmo a sostenere il governo Lombardo».
E con quali numeri quel governo potrà andare avanti? «A quel punto l’opposizione dovrebbe trarre le conclusioni e agire di conseguenza. Parlo del Partito democratico: finora sono rimasti fuori dall’esecutivo perché non potevano governare assieme agli uomini di Berlusconi. Bene, se dovesse consumarsi lo strappo, se il Pdl-Sicilia ritornasse con i lealisti, per il Pd cadrebbe la pregiudiziale dell’ingresso in giunta». Andrà così? Per ora i sette ex An aderenti al Pdl Sicilia si sono tutti schierati con Fini: «Siamo e resteremo sulle posizioni di Fini a appoggeremo il governo Lombardo», giurano. Con quale maggioranza poi, non è dato sapere.
Via gli ex Forza Italia e dentro il Pd: «I numeri ci sarebbero», spiegano dal partito di Pierluigi Bersani. Che negli ultimi mesi, sulla questione del rapporto con Lombardo e la sua giunta, si è lacerato drammaticamente: una corrente (Beppe Lumia, il capogruppo all’Ars Cracolici, l’ex ministro Cardinale) pronta a sostenere a tutto tondo il governo regionale; un’altra (Enzo Bianco, Rita Borsellino) duramente contraria. In mezzo, la segreteria nazionale costretta ad una prudente mediazione. Bersani ha spedito più volte nell’Isola il suo luogotenente Migliavacca, e alla fine dalla Direzione regionale di qualche giorno fa è uscito un compromesso: voto favorevole sul Bilancio della Regione, se Lombardo introdurrà alcuni provvedimenti cari al Pd; e a giugno grande «consultazione democratica della base» sull’atteggiamento da tenere nei confronti del governo Lombardo.
Se poi il governatore dovesse essere rinviato a giudizio nell’inchiesta per mafia avviata dalla Procura di Catania, il Pd si impegna a votargli la sfiducia. «Grazie anche a Bersani», si congratula Bianco.
Di certo però diversi nel Pd non nascondono di pensare che la Sicilia possa effettivamente essere un laboratorio per diversi equilibri nazionali: «Davanti al netto spostamento di equilibri verso la Lega e il Nord, nel governo, c’è la necessità che il Sud si muova, come ha avvertito anche Fini», ragiona l’ex dc Sergio D’Antoni.
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