Albanesi, 3 milioni e 200.000; bosniaci, 4 milioni e rotti. Con il nuovo anno (o forse anche prima) altri 7 milioni abbondanti di persone, cittadini di nazioni con un reddito pro-capite che è circa un ottavo della media europea e gravi problemi sociali, potranno entrare nei Paesi dell'area Schengen senza bisogno di visto, fermarvisi legalmente fino a tre mesi e svolgervi anche un lavoro temporaneo.
Visto che di questo privilegio godono già, oltre a tutti i cittadini dell'Unione europea, anche serbi, macedoni e montenegrini, la decisione assunta ieri all'unanimità dal Consiglio dei ministri degli Interni su raccomandazione del Parlamento di Bruxelles non fa, in realtà, che colmare una lacuna, estendendolo agli unici due Paesi europei (oltre al Kosovo, che è ancora nazione, per così dire, a metà) che ne erano finora esclusi.
A prima vista, quasi una normalizzazione, che avrà il benefico effetto di alleviare il lavoro dei consolati europei di Sarajevo e di Tirana e di dare l'impressione a bosniaci ed albanesi di non essere figli di un Dio minore. Ma, a guardar meglio, le cose non sono così semplici. Il provvedimento arriva quando sono ancora vive le polemiche sull'errore, compiuto dai Paesi della vecchia UE nel 2007, di non invocare la clausola di salvaguardia sul diritto di libera circolazione di 22 milioni di romeni e otto milioni di bulgari e di avere così favorito l'invasione dei Rom. Arriva, inoltre, in un momento in cui l'economia europea è in crisi, i Paesi dell'area Schengen accusano tutti un elevato tasso di disoccupazione e di tutto abbiamo bisogno, meno che di un nuovo arrivo incontrollato di immigranti, seguiti dalle famiglie, dalla zona più disastrata dei Balcani.
Non è infatti il caso di illudersi che la richiesta di un passaporto digitale, e il diritto che Bruxelles si è riservato di introdurre provvedimenti restrittivi se la situazione dovesse sfuggire di mano, possano veramente arginare il flusso; e una volta entrati nella Ue, difficilmente bosniaci e albanesi - popoli per cultura non troppo rispettosi delle leggi - se ne torneranno a casa alla scadenza dei tre mesi se avranno trovato da sistemarsi meglio che a casa loro.
Per ragioni geografiche l'Italia sarà ancora una volta in prima linea ad affrontare il problema. Soprattutto gli albanesi privilegiano da sempre il nostro Paese quando emigrano, e già vi costituiscono una delle comunità straniere più turbolente e numerose.
Ora quelli già residenti in Italia, con o senza permesso di soggiorno, avranno la possibilità di farsi raggiungere senza difficoltà (e senza costi aggiuntivi) da coniugi, parenti vari e membri dei rispettivi clan. Difficile fare previsioni sui numeri, ma pur tenendo conto che la popolazione dell’Albania non è grandissima e che il Paese ha conosciuto ultimamente un certo sviluppo, i nuovi arrivi saranno di sicuro nell'ordine delle decine di migliaia.
Per fortuna, la decisione della Ue viene nel momento in cui il governo ha inserito nel pacchetto sicurezza la norma che consentirà di espellere anche i cittadini comunitari (e quindi, a maggior ragione, anche quelli bosniaci e albanesi) che non dispongano di un alloggio adeguato e di un'occupazione e pesino sui servizi sociali. Ma sappiamo per esperienza che queste espulsioni sono difficilissime, costose e spesso rimangono lettera morta.
Comunque, ormai il dado è tratto, e non rimane che sperare che le buone intenzioni della Ue non si traducano in nuove polemiche, nuovi scontri e nuovi oneri per i Paesi più direttamente interessati dal provvedimento.
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