
Robert Langdon, l'eroe di Dan Brown, è a Praga con l'affascinante neuroscienziata Katherine Solomon e, nella città dei misteri, del golem e della magia, i due si ritrovano alle prese con un'agenzia spietata e occulta che lavora a un'operazione di tecnologia avanzatissima in un enorme laboratorio sotto le fondamenta della città... Nel mirino c'è proprio Katherine, per via delle sue ricerche di noetica e di un libro in cui intende rivelare le sue scoperte sulla coscienza umana. Per scoprire come finirà bisogna leggere L'ultimo segreto (Rizzoli, pagg. 798, euro 27), il nuovo romanzo del bestsellerista del Codice da Vinci, di Angeli e demoni e dei duecentocinquanta milioni di copie vendute.
Dan Brown, come mai ha deciso di occuparsi di coscienza, intelligenza artificiale, reti neurali?
"Me lo sono chiesto anche io, dopo otto anni impiegati a scrivere questo libro. È stata dura. Ma credo che nessun argomento sia più grande, importante e universale della coscienza umana: è il linguaggio attraverso cui vediamo la realtà.".
Lei avverte che tutto ciò di cui parla nel libro è reale. Perfino certi esperimenti futuristici sul cervello umano?
"È così. Uno scienziato mi ha raccontato di avere letto il libro computer alla mano e di avere controllato ogni esperimento che cito: sono tutti veri".
Non ne è spaventato?
"Ne sono entusiasmato e stupito. La conclusione è che la realtà è molto più strana di quello che immaginiamo e che, più impariamo, più ci rendiamo conto che non comprendiamo moltissime cose".
Come diceva Socrate.
"Eh già. La scienza è così affascinante, e procede a un ritmo così accelerato, che pone sempre nuove domande".
Che cos'è la noetica di cui è esperta Katherine Solomon?
"Premetto che questo romanzo è stato scritto per intrattenere e per divertire: non è che serva essere dei neuroscienziati per leggerlo. Noetica deriva dalla parola greca per percezione ed è lo studio della coscienza e dell'abilità della mente di influenzare il mondo materiale. Da un lato c'è una concezione materialistica, secondo cui tutti i nostri pensieri, idee e memorie sono prodotti dei processi chimici nel nostro cervello; per cui la mente crea la coscienza e, quando una persona muore, anche la coscienza finisce".
E la noetica?
"Crede che la mente umana sia un ricevitore e che la coscienza esista tutto intorno a noi, indipendentemente dal corpo e che, perciò, quando il cervello muore, essa continui a esistere. La cosa interessante è che spiega molte anomalie che tormentano i materialisti, come la sindrome del savant acquisita - un ragazzo viene colpito da una palla da baseball, perde conoscenza e si risveglia parlando cinese - o le esperienze extracorporee di chi è apparentemente morto e poi resuscita".
Che cosa ha a che fare tutto ciò con i servizi segreti?
"La Cia ha condotto programmi di ricerca sulla coscienza fin dagli anni '60, e così i russi. Uno dei temi del romanzo è che la mente umana sia il nuovo campo di battaglia fra le grandi potenze: se la coscienza non è locale, allora abbiamo un grande potere".
Abbiamo chi?
"Una agenzia, per esempio, che capisca la scienza della coscienza, può trarne grande vantaggio. Però, anche se ogni nostra scoperta è stata trasformata in un'arma, il 99 per cento della tecnologia e della scienza che creiamo ha un utilizzo positivo e creativo: ricaveremmo benefici enormi se riuscissimo a comprendere la coscienza e la natura della morte".
Però lei scrive thriller.
"È la natura della bestia, come si dice. Io scrivo in un'area grigia, fatta di bene e male. E amo anche mischiare il nuovo e l'antico, la scienza e la religione. Del resto, la religione è la prima scienza della coscienza".
In che senso?
"Ogni religione promette una vita oltre la morte. E oggi la scienza, l'antico nemico della religione, suggerisce che ci sia vita oltre la morte, ed è uno sviluppo interessante, perché è come se la scienza dicesse: ah, forse la religione aveva ragione, dopotutto...".
Al centro del romanzo c'è una biblioteca meravigliosa, il Clementinum.
"Dal mio primo viaggio a Praga sapevo che avrei ambientato una scena lì. È il simbolo della conoscenza e della saggezza condivise e conservate".
È anche un libro sul potere.
"Assolutamente: il potere dell'amore, quello che prova Langdon; il potere della mente umana; quello della conoscenza scientifica; quello degli antichi miti. E poi c'è anche un potere ombra".
Che legame ha con la conoscenza?
"Credo che la mente umana detesti la casualità e che questo ci porti, a volte, a immaginare un potere anche dove non c'è, pur di credere che qualcuno abbia il controllo. Così creiamo fonti di potere: Dio, i governi ombra, perfino la sfortuna che ci perseguita. E così nascono le teorie cospirative e le religioni, anche".
Chi è Robert Langdon?
"L'uomo che vorrei essere. È molto più interessante e intelligente di me; io sto chiuso da solo con il mio computer, lui gira il mondo; lui passa di fianco a un quadro e lo analizza in un secondo, mentre a me servono tre giorni di ricerche".
Quanto ha impiegato a fare quelle per il romanzo?
"Mi ci sono voluti otto anni per scriverlo e il primo anno e mezzo è stato solo di ricerche, che poi sono proseguite fino all'ultimo, perché la scienza si evolve in maniera rapidissima".
Le scoperte più affascinanti per lei?
"Fra quelle scientifiche, la precognizione: la capacità della mente umana di conoscere qualcosa prima che accada, il che implica anche che il tempo possa muoversi in due direzioni... Fra le tecnologie, la possibilità di un'interfaccia uomo macchina, attraverso l'impianto di chip nel cervello".
Come si fa a scrivere ottocento pagine che si leggono senza fermarsi?
"È il mio lavoro... Scrivo prima la fine, così so dove devo arrivare. Poi bisogna sempre essere certi che la struttura regga e non avere paura di cancellare quello che non funziona, che è pesante, o poco interessante, o non serve alla trama: il mio motto è quando sei nel dubbio, lascialo fuori".
Succede spesso?
"Sì, certo. Diciamo che la differenza fra un autore bravo e uno pessimo è che quello bravo sa quando è pessimo. E poi devi sempre essere in controllo dei tuoi personaggi: quando sento un autore dire che i suoi personaggi fanno quello che vogliono, mi sa di romanzo noioso... Invece bisogna forzarli ad affrontare i problemi e, soprattutto, prendere molto seriamente il proprio villain, perché è il villain a definire l'eroe: è impossibile essere un buon eroe, senza una forza che ti si opponga".
Perché ha scelto Praga?
"Quando ho scoperto che Praga significa soglia mi ha affascinato moltissimo: questa città è proprio la soglia fra realtà e misticismo, ci sono storie di fantasmi ovunque e il velo fra vita e morte è sottilissimo. E poi è la città ideale per Langdon: cattedrali, codici, passaggi segreti... Tutto ciò che gli crea problemi".
Si è divertito a scrivere?
"Sì, molto. Direi un cinque per cento di divertimento. Che è moltissimo".